Lanciato nel 2009, il telescopio spaziale Kepler, della NASA, ha dato sorprendente dimostrazione delle sue abilità di “cacciatore di pianeti”. Puntando una specifica regione della nostra galassia, in direzione della costellazione del Cigno, osserva un consistente campione di stelle: ben 156’000. Di queste, è in grado di rilevare eventuali, impercettibili diminuzioni di luminosità, variazioni che possono verificarsi quando un pianeta si trova a passare davanti alla propria stella lungo la sua linea di vista. Di potenziali nuovi pianeti extrasolari, Kepler ne ha già individuati ben 1’235: i ricercatori analizzano questa notevole mole di dati, facendo le opportune verifiche, in modo da stabilire quanti di essi siano effettivamente pianeti.
Giunto ormai a buon punto della propria missione, la cui durata prevista è di 3 anni e mezzo, Kepler ha individuato sistemi planetari in cui pianeti giganti simili a Giove si trovano estremamente vicini alla propria stella. In altri casi i pianeti più piccoli si trovano alla periferia, mentre i maggiori nella parte interna del sistema. In altri ancora Kepler ha rilevato orbite estremamente eccentriche. Tutte caratteristiche decisamente diverse da quelle che ritroviamo nel nostro Sistema solare e che ci costringono ad ampliare le nostre vedute, perché lo scenario al quale siamo abituati si rivela essere solo uno dei tanti possibili.
Questo panorama così vario, suggerisce anche di rivedere e generalizzare la definizione della cosiddetta “fascia di abitabilità”, quella regione alla giusta distanza da una determinata stella perché sulla superficie di un pianeta roccioso in orbita intorno ad essa possa esserci acqua liquida. Le cosiddette super-Terre (pianeti la cui massa è superiore a quella della Terra, ma inferiore a quella dei giganti gassosi) ad esempio, potrebbero avere atmosfere molto dense e sviluppare un effetto serra che consenta all’acqua di mantenersi liquida anche se, per la distanza dalla propria stella, dovrebbe trovarsi allo stato ghiacciato.
Dal punto di vista statistico, i risultati di Kepler mostrano una certa abbondanza di pianeti il cui diametro è circa il doppio rispetto a quello della Terra. Certo, di pianeti effettivamente simili al nostro, per dimensioni, composizione, posizione, non ne sono ancora stati scoperti: potrebbero effettivamente essere più rari, ma essendo più piccoli potrebbero anche semplicemente essere più difficili da rilevare. Questo è un punto di partenza per la ricerca del futuro, ma ciò che conta è che grazie a Kepler le considerazioni sull’abbondanza delle varie tipologie planetarie individuate possono essere estese all’intera Galassia perché, pur se limitato spazialmente, il campione di stelle esaminato è senz’altro rappresentativo.
Il lavoro di Kepler, quindi, oltre a darci una visione di quanto vari e sorprendenti possano essere i sistemi planetari della Via Lattea (come la recente scoperta del pianeta in orbita intorno a due stelle), permette di trarre importanti conclusioni di tipo statistico, preparando il terreno per successori che eseguiranno una caccia più mirata, sapendo cosa cercare e dove. Grazie alle informazioni ottenute grazie a Kepler, le missioni future potranno puntare direttamente ai sistemi planetari più vicini, nella speranza di trovare, finalmente, un pianeta adatto a ospitare forme di vita.