Da decenni ormai i fisici di tutto il mondo gli stanno dando la caccia. Scoprire la sua esistenza e conoscere in dettaglio le sue proprietà è di importanza fondamentale per comprendere le leggi che regolano l’universo e in ultima analisi capirne anche la sua origine ed evoluzione. Il Bosone di Higgs può essere insomma considerato ‘il sacro Graal’ della fisica delle particelle e non a caso è stato ribattezzato dal premio Nobel Leon Max Lederman la “particella di Dio”.
Forse questa fantomatica particella potrebbe apparire ed essere tracciata durante uno degli scontri ad altissima energia tra protoni che avvengono nel gigantesco anello da 27 km di circonferenza del Large Hadron Collider, il super acceleratore del CERN a Ginevra. O forse no. Certo è che molte delle teorie che cercano di descrivere la fisica fondamentale e le interazioni dei più piccoli ‘mattoni’ che costituiscono la materia prevedono l’esistenza del bosone di Higgs. Esistenza che aiuterebbe anche a capire l’evoluzione dell’Universo a partire da quel Big Bang che segnerebbe l’istante della sua nascita. Una posizione, questa, condivisa da vari gruppi di ricerca e recentemente ribadita da un lavoro condotto da un team di scienziati dell’Ecole Politecnique Féderale di Losanna (EPFL) in Svizzera, per i quali il bosone di Higgs può spiegare la velocità e l’intensità dell’espansione accelerata nei primi istanti dell’universo, nota come inflazione.
Questa particella, in una fase in cui, subito il Big Bang, la materia si trovava in una condizione di densità estrema, avrebbe avuto un ruolo molto speciale: contrastare in modo decisivo la forza di gravità che avrebbe frenato l’espansione e quindi consentire all’universo di aumentare le proprie dimensioni per un breve periodo con una velocità eccezionale.
E una conferma di questa teoria potrebbe arrivare non dalle viscere della Terra ma dallo spazio: per il 2013 sono infatti attesi i risultati di alta precisione della campagna osservativa del satellite dell’ESA Planck, dedicato allo studio della radiazione prodotta nei primi istanti dopo la nascita dell’Universo.
“Gli studi condotti da Planck rappresentano la migliore e , al momento, unica possibilità di testare le condizioni estreme dell’universo primordiale. In altre parole Planck è un esperimento di Fisica Fondamentale almeno quanto lo è di astrofisica” commenta Reno Mandolesi, Principal Investigator dello strumento LFI a bordo di Planck e associato INAF. “E’ bene ricordare che il lavoro del team svizzero non tratta di argomenti secondari: capire il meccanismo che ha dato origine all’inflazione cosmica significa comprendere anche come mai l’universo abbia le attuali dimensioni e come questi risultati siano legati alla fisica delle particelle e ai risultati che ci attendiamo da LHC. Un ulteriore punto originale del lavoro dei fisici teorici dell’EPFL è mostrare come la misteriosa accelerazione dell’espansione dell’universo, che gli esperimenti di cosmologia hanno rivelato, potrebbe avere origine in una particella cugina dell’Higgs, il dilatone. Planck è stato realizzato anche per far luce su tutto ciò”.