Ancora le supernovae in primo piano. Dopo la notizia dell’assegnazione del Premio Nobel 2011 per la Fisica a tre scienziati per la scoperta dell’espansione accelerata dell’Universo grazie all’utilizzo di questi oggetti celesti, arriva da un team internazionale di astronomi lo studio che ha permesso di individuare 150 supernovae, dodici delle quali sono tra le più distanti mai osservate finora.
“Queste immani esplosioni producono elementi chimici che sono poi i mattoni di nuove generazioni di stelle e pianeti” dice Dan Maoz, professore presso il Dipartimento di Astronomia dell’Università di Tel Aviv, tra gli autori del lavoro pubblicato sul numero di ottobre delle Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. “Avvicinandoci a noi, questi elementi sono gli atomi che compongono il terreno sotto i nostri piedi, i nostri corpi e il ferro presente nel sangue che scorre nelle nostre vene”.
Il risultato è stato ottenuto grazie a una serie di quattro osservazioni di lunga durata con il telescopio Subaru, situato sulla sommità del vulcano spento Mauna Kea, nelle isole Hawaii, che è stato puntato su una porzione di cielo denominata Subaru Deep Field. In questa regione, che copre una superficie grande circa come quella apparente della Luna piena, sono presenti qualcosa come 150.000 galassie.
Alcune delle supernovae scoperte si trovano a una distanza di 10 miliardi di anni luce, e dunque sono esplose quando l’universo aveva poco più di un quarto dell’età attuale. Non solo. Dall’analisi dei dati emerge che le supernovae di tipo Ia in quell’epoca esplodevano con una frequenza cinque volte maggiore di quanto accade oggi. Un risultato molto importante, che aiuta a comprendere il ruolo che questi oggetti celesti hanno avuto nell’arricchire di elementi chimici più pesanti dell’ossigeno l’universo nei primi miliardi di anni dopo il Big Bang.