Sono piccole, tendono a passare inosservate e, che le si definisca stelle mancate o pianeti troppo cresciuti, le nane brune potremmo considerarle brutti anatroccoli dell’Universo destinati, per giunta, a rimanere tali.
Per questi oggetti il futuro non ha in serbo nulla di speciale, nessuna spettacolare metamorfosi: ad attenderle soltanto un progressivo, continuo, raffreddamento.
Eppure destano un interesse sempre maggiore come dimostra il recente impiego di due super telescopi, il Subaru alle Hawaii e il Very Large Telescope (VLT) in Cile, che ne hanno scovate parecchie prendendo di mira due giovani ammassi stellari: NGC 1333 e Rho Ophiuchi. Per effettuare questa indagine, denominata SONYC (Substellar Objects in Nearby Young Clusters) Survey, i due strumenti hanno raccolto e analizzato sia la radiazione visibile che quella emessa nell’infrarosso. Una volta individuate le potenziali nane brune, l’analisi dei loro spettri ha permesso di stabilirne con certezza l’identità confermando così che ne sono state scoperte più di venti. Due articoli pubblicati su Astrophysical Journal e una conferenza che si terrà questa settimana a Garching, in Germania, daranno ampio spazio alla presentazione dei risultati e alle relative considerazioni.
Considerazioni che, come nel caso di una nana bruna in particolare, giustificano l’interesse legato a questa elusiva classe di oggetti. Una di queste stelle mancate, individuata nell’ammasso NGC1333, ha infatti una massa pari ad appena 6 volte quella di Giove: questo la renderebbe decisamente più simile a un supergigante gassoso che a una stella. Eppure è un oggetto isolato, solitario: a differenza dei pianeti non orbita intorno a un proprio sole. Come può essere avvenuta la sua formazione?A questo interrogativo si aggiunge il fatto che, sempre nell’ammasso NGC1333, le nane brune sembrano essere più numerose che in altri ammassi giovani: come se in questo contesto avessero trovato condizioni più favorevoli alla propria formazione.
Analizzando i risultati di questa scoperta, in definitiva, si potrebbe dedurre che anche oggetti di massa non molto superiore a quella di Giove potrebbero formarsi “autonomamente” come fanno le stelle, senza dover necessariamente avere origine da un disco protoplanetario.