IL LAVORO SU ASTRONOMY&ASTROPHYSICS

La difficile digestione del buco nero

Una estesa campagna di osservazioni con telescopi da Terra - tra cui l'italiano REM sulle Ande cilene - e dallo spazio ha permesso di studiare la natura del buco nero GX 339-4, che in modo imprevedibile produce violentissime emissioni di raggi X e gamma. Per gli scienziati il momento buono per cercare tracce di getti relativistici 'sparati' dal buco nero.

     19/10/2011

Visione artistica del sistema GX 339-4. Il buco nero centrale strappa il gas della stella compagna che spiraleggiando crea un disco di materia attorno ad esso. Parte di ciò che precipita verso il buco nero viene poi accelerata a velocità prossime a quella della luce nei due getti visibili. (Cortesia NASA)

Se vi dicessero che c’è ‘qualcuno’ che ha una fame talmente grande da divorare addirittura una stella ci credereste? State tranquilli, la notizia è vera, ma l’affamato non è fortunatamente di questo pianeta, anzi è piuttosto distante da noi: oltre 20.000 anni luce. Gli astronomi lo chiamano GX 339-4, ed è un buco nero. Con la sua smisurata forza di attrazione gravitazionale sta letteralmente divorando una stella vicina, strappandole il suo gas che spiraleggia intorno ad esso creando una sorta di disco, per poi venire inesorabilmente ingurgitato. Questo fenomeno innesca delle imprevedibili e violentissime emissioni di energia nei raggi X e gamma, che gli astronomi chiamano outburst. GX 339-4 per questa sua voracità è stato oggetto di numerose indagini negli ultimi decenni e in particolare di una recentissima campagna di studi che ha combinato le osservazioni di diversi strumenti dallo spazio e da Terra, tra cui il telescopio robotico italiano REM (Rapid Eye Mount) sulle Ande cilene, i cui risultati vengono pubblicati online oggi in un articolo sulla rivista Astronomy&Astrophysics.

“Da diversi anni abbiamo un programma attivo al telescopio REM, per l’osservazione degli outburst di sistemi simili a GX 339-4” – dice Paolo Goldoni, ricercatore presso il Laboratoire Astroparticule et Cosmologie dell’Università di Parigi, che ha partecipato al lavoro. “Gli outburst di queste sorgenti non sono prevedibili e il telescopio robotico REM, con la sua capacità di essere puntato in tempi molto brevi, e’ uno strumento perfetto per studiare questo tipo di sorgenti”.

Grazie alla strumentazione di REM, è stato possibile osservare GX 339-4 contemporaneamente alle frequenze della luce visibile e del vicino infrarosso, rivelando una elevata emissione di radiazione in quest’ultima banda di radiazione, molto maggiore rispetto a quanto misurato nell’ottico. Questo eccesso di radiazione è stato interpretato come la traccia di un getto relativistico ‘sparato’ dal buco nero. “Durante gli outburst di queste sorgenti può capitare che una frazione della materia che spiraleggia verso il buco nero venga espulsa sotto forma di un getto che viaggia a velocità molto vicine a quella della luce” – spiega Paolo D’Avanzo, postdoc presso l’Osservatorio di Brera e coautore dell’articolo.”Lo studio di questi getti relativistici è certamente uno degli argomenti più interessanti dell’astrofisica degli oggetti compatti.”

Il telescopio robotico REM, Rapid Eye Mount (cortesia di P. Aniol, ESO)

Solitamente la presenza di un getto legato ad un buco nero viene rivelata grazie ad osservazioni radio, che permettono di osservarne le estremità in espansione, ma le regioni del getto più brillanti e compatte vicine al buco nero possono essere osservate solo nell’infrarosso, una regione dello spettro alla quale e’ difficile effettuare osservazioni, soprattutto con strumentazione da Terra. Ed ecco il colpo di scena. Nell’aprile di quest’anno il satellite WISE (Wide-filed Infrared Survey Explorer) della NASA ha reso pubblici i risultati della survey effettuata nelle frequenze del medio infrarosso (tra i 3 e i 22 micron). Il satellite WISE effettua una scansione di diverse regioni del cielo ogni 90 minuti circa per 24 ore, per poi riosservarle solo dopo 6 mesi. Il caso ha voluto che WISE osservasse il buco nero GX 339-4 all’inizio di marzo 2010, proprio nei giorni in cui il sistema era in outburst. La regione spettrale coperta da WISE, era proprio “l’anello mancante” necessario per poter studiare per la prima volta nel dettaglio la struttura di un getto relativistico originato da un buco nero.

L’unione dei dati ottenuti con REM e WISE ha così portato ad una seconda pubblicazione sulla rivista The Astrophysical Journal Letters. L’analisi di questi dati ha permesso di osservare per la prima volta la base del getto di materia espulsa da GX 339-4 durante l’outburst e di stimarne addirittura il raggio,  pari a ‘soli’ 24.000 chilometri. Vista da Terra, la base di questo getto avrebbe la stessa dimensione di una moneta posta alla distanza del Sole. Inoltre, l’emissione infrarossa ha mostrato forte variabilità su tempi scala che vanno da 11 secondi a poche ore, indicando che le dimensioni della base del getto possono variare significativamente, fino a 10 volte.

“L’aver confrontato i dati di REM e WISE ha permesso di stimare con una precisione mai raggiunta finora il campo magnetico della materia intorno al buco nero, che è stato misurato essere pari a circa 30.000 volte quello terrestre – commenta Piergiorgio Casella, postdoc all’Universita’ di Southampton all’epoca di questo lavoro e ora ricercatore presso l’Osservatorio Astronomico INAF di Roma. “È proprio questo campo magnetico così intenso ad essere responsabile dell’accelerazione della materia attorno al buco nero sotto forma di getto relativistico”.