La formula chimica è semplice: CH3OH. Ed è una molecola tristemente nota, almeno qui in Italia, per la vicenda del vino adulterato, lo “scandalo del vino al metanolo”, che nel 1986 portò all’intossicazione, in alcuni casi con esito fatale, di parecchie decine di persone. Ma il metanolo – o alcool metilico – non è solo un veleno, anzi: la sua struttura tetraedrica è un mattoncino cruciale per la formazione delle molecole organiche complesse. Detto altrimenti, è una sostanza chiave per la chimica della vita. È dunque con grande soddisfazione che un gruppo di scienziati guidati da Douglas Whittet, direttore del New York Center for Astrobiology (un gruppo di ricerca del Rensselaer Polytechnic Institute finanziato dalla NASA), ha appena annunciato di aver individuato le condizioni e gli ambienti ideali – “sweet spots” – per la formazione del metanolo nel cosmo.
Puntando i telescopi verso le regioni a maggior concentrazione di molecole semplici, come il monossido di carbonio, presenti nelle nubi di formazione stellare, Whittet e colleghi hanno scoperto che la maggior abbondanza di metanolo si osserva attorno a un numero assai ristretto di stelle di recente formazione. Dunque, non tutte le giovani stelle agiscono come potenziali fucine di chimica organica. La concentrazione di metanolo sembra anzi variare moltissimo, dalle quantità trascurabili presenti in alcune regioni del mezzo interstellare fino al 30 per cento circa che si riscontra nei ghiacci circostanti una manciata di nuove stelle. Non solo: il team di astrobiologi ha anche osservato, per la prima volta, metanolo a basse concentrazioni (attorno all’1-2 percento) nelle nubi fredde dalle quali si formano le stelle.
Qual è la spiegazione di tanta variabilità nei processi di formazione del metanolo nella nostra galassia? Stando alle conclusioni della ricerca, che verrà pubblicata il prossimo 20 novembre su The Astrophysical Journal, la risposta sta nelle condizioni fisiche presenti nell’ambiente attorno alle stelle. In particolare, un parametro cruciale pare essere la velocità con la quale alcune molecole si depositano sui grani di polvere che circondano le giovani stelle. La formazione di metanolo nel freddo spazio interstellare può infatti avvenire, nelle giuste condizioni, grazie alla reazione fra il monossido di carbonio (CO) e l’idrogeno presente nella polvere interstellare. «Ma se le molecole di monossido di carbonio si accumulano sulla superficie dei grani di polvere troppo rapidamente», spiega Whittet, «non riescono a reagire per formare molecole più complesse, finendo sepolte nel ghiaccio e diventando a loro volta un peso morto. In modo analogo, se l’accumulo è troppo lento ci sono meno possibilità che la reazione s’inneschi». Insomma, gli ingredienti non bastano: come in ogni ricetta che si rispetti, anche quando si tratta di sfornare metanolo i tempi sono cruciali per decidere se l’esito sarà un boom di molecole organiche oppure un binario morto.
E il nostro Sistema solare, quanto a metanolo, che tipo di ambiente offriva in origine? Stando agli studi sulla composizione delle comete, doveva essere presente a concentrazioni piuttosto basse, per lo meno rispetto a quelle osservate nelle regioni della galassia descritte nell’articolo. «Dunque non era un ambiente particolarmente fortunato, non avendo avuto l’abbondanza di metanolo che vediamo intorno ad altre stelle. Ma ce n’era ovviamente a sufficienza per consentirci di essere qui», conclude Whittet. Secondo il quale, in ogni caso, ciò che i risultati dello studio suggeriscono è che potrebbero esistere sistemi solari molto più fortunati del nostro dal punto di vista biologico. E che, osservando il cosmo più in profondità, potremmo un giorno scoprire di cosa può essere capace un sistema extrasolare ricolmo di metanolo.
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