Fra le centinaia di miliardi di stelle che popolano la nostra galassia, ce ne sono di così vecchie da poter essere considerate fossili stellari. Si formarono quando la stessa Via Lattea era ancora ai primordi, in un’epoca in cui, dal punto di vista chimico, lo scenario era diverso da quello attuale, meno ricco e meno vario di elementi chimici pesanti. In altre parole nelle regioni di formazione stellare c’erano meno ingredienti a disposizione: oro, platino e uranio avrebbero dovuto essere una vera rarità. Si tratta di elementi che, in un certo senso, le stelle più vecchie lasciano “in eredità” alle più giovani quando, esplodendo come supernove, rilasciano nello spazio tutto ciò che hanno sintetizzato nel corso della loro evoluzione. È quando si verificano questi fenomeni esplosivi e altamente energetici che vengono prodotti anche quegli elementi come appunto oro, platino e uranio, più pesanti del ferro per via del maggior numero di protoni e neutroni presenti nel loro nucleo. È per questo motivo che le nuove generazioni di stelle sono via via più ricche di elementi pesanti mentre le loro antenate dovrebbero esserne quasi prive. Eppure le cose non sembrano stare così: alcune stelle fossili che si trovano nell’alone galattico mostrano abbondanze inaspettatamente elevate di elementi pesanti, abbondanze che ci si aspetta di trovare in stelle molto più giovani. Nel tentativo di trovare una spiegazione a questa evidenza osservativa che sembra sfidare la logica, un gruppo di ricercatori del Niels Bohr Institute ha studiato per anni alcune fra le stelle più antiche, osservandole con i telescopi dell’ESO, in Cile. I risultati ottenuti, pubblicati su Astrophysical Journal Letters, offrono due possibili spiegazioni.
Secondo la prima teoria, la ricchezza osservata in certe stelle antiche potrebbe essere il “dono” fatto da una stella compagna. Quest’ultima sarebbe esplosa come supernova, cospargendo gli strati più esterni della sopravissuta con gli elementi pesanti di recente sintetizzazione. Questa ipotesi si applica solo ai sistemi binari ai quali, però, appartiene solo il 20% delle stelle.
La seconda ipotesi è più generale, ma coinvolge ancora le esplosioni di supernove: queste avrebbero sparato getti di elementi pesanti in diverse direzioni, anche investendo stelle che si trovassero nei paraggi.
In entrambi i casi, quindi, quelle che oggi consideriamo stelle antiche sarebbero state spruzzate di elementi prodotti da esplosioni di stelle ancora più vecchie.
Per saperne di più:
- Leggi l’articolo pubblicato su Astrophysical Journal Letters: “The binary frequency of r-process-element-enhanced metal-poor stars and its implications: chemical tagging in the primitive halo of the Milky Way”