Lo ricorderanno a lungo quel 25 dicembre del 2010 i ricercatori italiani del team di Swift, l’osservatorio orbitante della NASA, realizzato con la collaborazione di Italia e Regno Unito e dedicato alla ‘caccia’ dei lampi di raggi gamma. Nel pieno della festività vengono infatti informati che i sensori del satellite stavano registrando l’arrivo un flusso di radiazione di alta energia. Messi da parte panettoni, torroni e regali, iniziano il monitoraggio dei dati. E di lì a poco capiscono che l’evento preso in diretta da Swift è davvero qualcosa di unico. Intanto per la sua durata. GRB 101225A – questa la sigla del lampo di raggi gamma osservato da Swift – è stato infatti lunghissimo: oltre trenta minuti quando, di solito, i lampi di raggi gamma (GRB) durano al più qualche decina di secondi, eccezionalmente qualche minuto. Ma le stranezze di GRB 101225A non si sono fermate qui. La sua luminosità residua nella banda dei raggi X (chiamata dagli addetti ai lavori afterglow), che normalmente nei lampi di raggi gamma può persistere anche per diversi mesi, nel caso di GRB 101225A è scomparsa nel giro di solo 20 ore. Non solo: anche il suo flusso di radiazione non era stabile, ma presentava delle variazioni molto pronunciate, con alti e bassi che si riproponevano a intervalli quasi regolari di qualche ora. Le indagini nelle bande della radiazione visibile e ultravioletta hanno mostrato un’emissione abbastanza debole che è rimasta osservabile per più tempo: in ultravioletto per qualche giorno, come osservato da Swift, e in ottico per qualche mese, come registrato dalle osservazioni dei telescopi da Terra. Insomma, una concentrazione di caratteristiche così uniche non erano mai state riscontrate in un lampo di raggi gamma. E quanto osservato non poteva essere spiegato dagli attuali modelli teorici che descrivono queste immani emissioni di energia.
“Le osservazioni di Swift ci hanno davvero sorpreso” dice Sergio Campana, dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Brera, primo autore dell’articolo sulle osservazioni di Swift pubblicato nell’ultimo numero della rivista Nature. “Abbiamo avuto non pochi problemi per riuscire a interpretare questi dati in modo convincente. Le repentine variazioni di flusso osservate nei raggi X, mai osservate in altri GRB, ci suggeriscono che questo lampo di raggi gamma abbia avuto origine durante un evento distruttivo ma in qualche modo periodico. Dopo vari tentativi di modellizzazione sia con oggetti della nostra Galassia che con oggetti extragalattici (c’è un lavoro concorrente che spiega il fenomeno con una supernova estremamente peculiare nell’Universo vicino), ci siamo focalizzati sull’ipotesi della caduta di un asteroide su una stella di neutroni appartenente alla nostra Galassia. E’ un fenomeno nuovo mai pensato teoricamente e mai osservato prima d’ora, ma sembra funzionare”.
D’altra parte sappiamo bene che comete ed asteroidi cadono sul Sole o su Giove. Basta ricordare le spettacolari immagini riprese dal telescopio Hubble nel 1994 che hanno testimoniato l’impatto dei frammenti della cometa Shoemaker-Levy 9 su Giove. Nel caso della nostra stella, una cometa che vi cade sopra si allunga leggermente, per effetto della gravità, prima di essere vaporizzata al contatto con la fotosfera solare. Se però consideriamo quello che accade per un oggetto veramente compatto come una stella di neutroni, dove una massa poco superiore a quella del Sole è concentrata in una sfera del raggio di dieci chilometri, la cometa o l’asteroide, avvicinandosi, sentirebbero una forza mareale estremamente intensa che porterebbe l’oggetto in caduta a distruggersi prima di schiantarsi sulla sua superficie.
Potrebbe essere questo il primo caso osservato di un simile fenomeno? E’ molto probabile, ma per eliminare ogni dubbio saranno necessarie ulteriori indagini su questa particolare sorgente. Anche perché un altro team ha presentato sullo stesso numero di Nature una spiegazione alternativa a quanto osservato in GRB 101225A, chiamando in causa una supernova estremamente peculiare nell’Universo vicino.
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