Nonostante un nome scientifico altisonante, il Caernorhabditis elegans non è altro che un microscopico verme. Studiandolo, tuttavia, potremo trovare soluzioni che permettano agli esseri umani di sopravvivere per lunghi periodi nello spazio. Ad esserne convinti sono alcuni scienziati dell’Università di Nottingham che hanno pubblicato i risultati delle loro ricerche sul numero del 30 novembre di Interface, rivista della Royal Society.
Di questi piccoli organismi ne furono spediti nello spazio ben 4 migliaia, a bordo dello shuttle Discovery, nel 2006. Una volta giunti a destinazione, sulla Stazione Spaziale, ne vennero studiati i comportamenti, anche dal punto di vista riproduttivo: nei primi tre mesi della loro permanenza in orbita terrestre bassa furono monitorate 12 generazioni di C.elegans.
Gli studi effettuati sono particolarmente interessanti se si considera che la struttura genetica di questi organismi era stata, in precedenza , interamente mappata riscontrando che molti dei suoi 20’000 geni svolgono le stesse funzioni di quelli caratteristici dell’uomo. Anche una volta in orbita, è stato possibile verificare che la maggior parte dei cambiamenti biologici che hanno interessato i C.elegans sono stati del tutto simili a quelli subiti dagli stessi astronauti. In definitiva, nonostante le apparenze, ci sono molti aspetti in comune: è per questo che lo studio di questi piccoli vermi può rivelarsi determinante per il futuro dell’uomo nello spazio. Altro fatto non trascurabile è che il monitoraggio su colonie di C. elegans che crescano e si riproducano nello spazio può essere effettuato in remoto, da terra, e per periodi di tempi paragonabili a quelli necessari a effettuare un viaggio su Marte con equipaggio umano. Con questi presupposti, potrebbero essere proprio i C.elegans, i primi “terrestri” a intraprendere il viaggio verso il pianeta rosso.