Non c’è cosa che riesca a sfuggirgli se dovesse avere la ventura di capitare nella sua zona di influenza: gas, polvere, pianeti, stelle, persino la luce. Tutto inesorabilmente risucchiato in quell’esotico oggetto celeste che chiamiamo buco nero. Ma forse potrebbe esserci qualche eccezione. Un nuovo studio a cui hanno partecipato tre giovani ricercatori italiani appena pubblicato sulla prestigiosa rivista internazionale Physical Review Letters indica infatti come alcuni oggetti molto compatti, ad esempio le stelle di neutroni, potrebbero riuscire a “galleggiare” a una distanza costante attorno al buco nero, senza esserne inghiottite.
L’idea dei ricercatori nasce dal tentativo di superare le limitazioni della Relatività Generale di Albert Einstein. Questa teoria, pur essendo considerata uno dei risultati più brillanti della mente umana, risulta ancora oggi incompleta e difficile da integrare con il Modello Standard delle particelle elementari, l’altro pilastro della fisica contemporanea, che descrive le proprietà e le interazioni dei più piccoli “mattoni” che costituiscono la materia. Negli ultimi decenni sono state avanzate svariate proposte per superare questa incompatibilità. La teoria delle stringhe – una tra le proposte attualmente più discusse – cerca di fornire una descrizione unificata di tutte le interazioni fondamentali che si osservano in natura, inclusa la gravità, modificando la Relatività Generale con l’introduzione – tra l’altro – dei cosiddetti “campi scalari”. “Nel 1800 era chiaro che la gravità di Newton descriveva benissimo il Sistema solare, ma c’erano delle anomalie impreviste nell’orbita di Urano”, spiega Emanuele Berti, ora all’Università del Mississippi e al California Institute of Technology. “Le Verrier suggerì che queste deviazioni erano dovute a un nuovo pianeta: Nettuno, che gli astronomi trovarono quasi immediatamente, proprio dove predetto da Le Verrier! Oggi sappiamo che la teoria di Einstein descrive la gravità in maniera più precisa rispetto alla teoria di Newton, ma per spiegare l’espansione dell’universo dobbiamo introdurre elementi nuovi, come l’energia oscura o i campi scalari. I campi scalari sono un po’ come i ‘pianeti invisibili’ che spiegavano i difetti della teoria di Newton: facili da immaginare, e difficili da escludere. Praticamente tutte le modifiche della Relatività Generale predicono campi scalari, dobbiamo solo capire dove andarli a cercare!”
Proprio i campi scalari dotati di massa giocherebbero un ruolo determinante nel creare una sorta di equilibrio in un sistema composto da una stella di neutroni in orbita attorno a un buco nero rotante, impedendo alla stella di venire inesorabilmente inghiottita. In che modo? “La stella di neutroni può produrre degli effetti di marea sul buco nero – spiega Paolo Pani dell’Instituto Superior Técnico di Lisbona – un po’ come la Luna regola le maree sulla Terra. Infatti, l’orizzonte degli eventi di un buco nero si comporta come una membrana flessibile che può dissipare energia, in maniera simile a come l’attrito degli oceani rallenta la rotazione terrestre. Proprio come succede alla Luna, questo fenomeno tende ad aumentare la distanza fra le stelle e i buchi neri attorno ai quali esse orbitano. Tuttavia, in circostanze normali, l’allontanamento è trascurabile, perché durante il loro moto le stelle perdono molta energia sotto forma di onde gravitazionali e, invece di allontanarsi, si avvicinano sempre più al buco nero, fino ad essere inghiottite.” L’esistenza di campi scalari aumenterebbe enormemente questi effetti di marea, permettendo alla stella di “galleggiare” in un’orbita di raggio constante, dove l’energia associata alla rotazione del buco nero viene emessa direttamente sotto forma di onde gravitazionali.
I risultati di questo studio suggeriscono l’esistenza di una nuova sorgente (quasi monocromatica) di onde gravitazionali che, se osservata, fornirebbe importanti indizi sull’unificazione della teoria della gravità con la meccanica quantistica. “Queste onde gravitazionali sarebbero abbastanza intense da essere osservabili lanciando dei satelliti nello spazio e misurando come varia la loro distanza”, aggiunge Leonardo Gualtieri dell’Università “La Sapienza” di Roma. “Esperimenti di questo tipo sono in preparazione sia in Europa che negli USA, e potrebbero essere lanciati entro 10-15 anni. Nascerebbe così una nuova astrofisica delle onde gravitazionali che permetterebbe, come mostra il nostro studio, anche di rispondere a domande di fisica fondamentale, come quelle sull’esistenza dei campi scalari e sulle loro proprietà.”
- Leggi l’articolo “Floating and sinking: the imprint of massive scalars around rotating black holes” di Vitor Cardoso, Sayan Chakrabarti, Paolo Pani, Emanuele Berti e Leonardo Gualtieri pubblicato sulla rivista Physical Review Letters