Immaginate di esplorare per la prima volta un mondo sconosciuto. Davanti a voi, si aprono montagne, crateri e crepacci fino a quel momento mai tracciati su alcuna mappa. Qual è uno dei primi problemi che si pongono? Un indizio: immaginate due ricercatori che guardano rapiti i panorami di questo nuovo mondo e parlano tra loro del “cratere a 1.7 gradi latitudine sud e 354 longitudine est”. Ora immaginate lo stesso ricercatore che dice all’altro: “guarda il cratere Claudia”.
E’ esattamente il problema che si pone il team della missione Dawn dal luglio 2011, da quando la sonda NASA è entrata in orbita intorno all’asteroide Vesta: un nuovo mondo che lentamente sta scoprendo, studiandone la struttura e la geologia. Nel filmato, pubblicato dal JPL della NASA, sono visibili le zone finora più studiate dell’asteroide, ricostruite grazie ai dati e alle immagini riprese dagli strumenti di Dawn. Dei magnifici crateri visibili nel filmato, solo 29 hanno avuto finora l’onore di di essere battezzati dalla IAU, la International Astronomical Union.
httpvh://youtu.be/SshcJt0QycU
Qui sopra, un video del JPL con il modello di Vesta ricreato dai dati della sonda Dawn. Crediti Video: DLR Institute for Planetary Research
Ma come sono stati scelti i nomi di queste strutture? La procedura è complessa, e prima di arrivare a una assegnazione ufficiale si passa attraverso una lunga trafila. Nel team della missione esiste un working goup di scienziati cha ha, tra gli altri compiti, quello di scegliere e proporre alla IAU i nomi da assegnare alla strutture appena scoperte. A capo del gruppo siede Thomas Roatsch, del German Aerospace Center in Berlino. Ma l’idea alla base della scelta vede come protagonista anche Angioletta Coradini, scienziata italiana dell’INAF di Roma a capo del team dello strumento VIR fino alla sua prematura scomparsa, avvenuta a settembre 2011.
L’idea è semplice, nella sua genialità: dare ai crateri di Vesta i nomi delle sacerdotesse romane consacrate al culto della Dea del focolare domestico, Vesta, pagando così un tributo al mondo romano e alle donne. Il team si è quindi trasformato in una task force di studiosi della storia romana, scartabellando nei documenti ufficiali per identificare e selezionare una lista di personaggi dalla storia nota, con nomi che non fossero mai stati usati per altri oggetti celesti.
La questione non è semplice come potrebbe sembrare a prima vista. Le Vestali conosciute sono poche: le loro storie rimangono agli atti solo quando le legittime proprietarie entrano nel mito, compiono atti straordinari oppure vengono punite per non aver rispettato le regole. Per questo, si è dovuto spesso scendere a compromessi, accettando nella lista nomi la cui vita è più vicina alla leggenda che alla storia. E inserendo, oltre alle Vestali, altre donne dell’antica Roma, ma anche festival e città romane, nomi proposti per battezzare montagne, dirupi e terrapaieni.
Ed è così che, all’arrivo all’asteroide Vesta, il destino della sonda Dawn si è legato alla storia della fondazione di Roma. L’enorme cratere da impatto situato al polo sud dell’asteroide, già osservato dal telescopio Hubble, e destinato a diventare protagonista di molti studi futuri, è stato nominato in onore di Rea Silvia, madre di Romolo e Remo fondatori di Roma e per molti studiosi, vestale dell’antica Albalonga. Il nome è il primo di una lista di 14 vestali ufficialmente accettate il 30 settembre 2011, a cui si sono aggiunte e si aggiungeranno molte altre: Rheasilvia, Claudia, Calpurnia, Marcia e tutte le altre antiche romane che, dopo migliaia di anni, trovano oggi una nuova vita sulla superficie di questo incredibile, piccolo mondo, tutto da scoprire.
Per saperne di più sui nomi delle strutture di Vesta: http://planetarynames.wr.usgs.gov/Page/VESTA/target
Per saperne di più su Dawn: http://www.nasa.gov/dawn e http://dawn.jpl.nasa.gov
La rubrica “Immagini dal Sistema Solare” è a cura della Southern Europe Regional Planetary Imaging Facility (SRPIF), la Fototeca NASA ospitata presso lo IAPS di Roma con la collaborazione dello Space Photography Laboratory (SPL), la Fototeca dell’Università dell’Arizona.