La meta più esclusiva? Lo spazio, non c’è dubbio. Avventurosa e costosissima, la vacanza a gravità zero non teme paragoni. E non c’è resort al mondo che possa reggere il confronto con il panorama offerto a chi si affaccia agli oblò della Stazione spaziale. Ma è anche un ambiente tutt’altro che salutare, lo spazio. E per chi, come noi, si ritrova un corpo perfettamente adattato da milioni di anni a vivere in condizioni di gravità, ritrovarsi a lungo lassù può provocare parecchi effetti indesiderati. La perdita di densità ossea e l’atrofia muscolare sono certamente i più noti, ma non i soli. Da uno studio condotto su 27 astronauti, tutti reduci da lunghi periodi di tempo trascorsi a bordo dello Space Shuttle o della Stazione spaziale, sono emerse anomalie agli occhi simili a quelle che possono verificarsi in chi soffre di ipertensione endocranica idiopatica (vale a dire, senza una causa accertata), una condizione potenzialmente grave che comporta un aumento di pressione all’interno del cranio.
I soggetti in esame avevano trascorso in media 108 giorni a testa in assenza di gravità, o più precisamente in un ambiente a microgravità. Le anomalie riscontrate, descritte in un articolo appena pubblicato sulla rivista Radiology, sono state identificate grazie alle immagini ottenute con la risonanza magnetica. Otto dei 27 astronauti sono stati sottoposti anche a una seconda risonanza, dopo un’ulteriore missione spaziale della durata media di 39 giorni. «Ciò che è emerso è una serie di anomalie, riscontrate anche nell’ipertensione endocranica idiopatica, apparse in seguito a periodi di esposizione cumulativa, sia brevi che lunghi, alla microgravità», spiega Larry A. Kramer, professore presso la Medical School dell’Università del Texas, a Houston. «Lo studio di questi cambiamenti che si verificano durante l’esposizione alla microgravità potrà essere d’aiuto per comprendere meglio i meccanismi alla base dell’ipertensione endocranica anche nei pazienti che non viaggiano nello spazio».
L’aumento della pressione intracranica può provocare un rigonfiamento della papilla, la giunzione fra il nervo ottico e il bulbo oculare: una condizione che può portare all’insorgenza di disturbi alla vista. «L’ipertensione endocranica indotta dalla microgravità», conclude dunque Kramer, «rappresenta un ipotetico fattore di rischio, e un limite potenziale per i viaggi spaziali di lunga durata».
La NASA, tramite il direttore della clinica di medicina spaziale del Johnson Space Center, William J. Tarver, conferma di aver riscontrato alterazioni alla vista – la cui origine non è ancora stata del tutto compresa – in alcuni fra gli astronauti della Stazione spaziale. Fino a oggi, però, nessun astronauta è stato ritenuto inadatto al volo spaziale a seguito di questi sintomi, che sempre secondo Tarver sembrano puntare il dito proprio verso l’ipertensione endocranica, sebbene non vi sia ancora una conferma. In ogni caso, aggiunge Tarver, «la NASA ha posto la questione in cima alla lista dei rischi per gli astronauti, ha avviato un programma completo per lo studio dei suoi meccanismi e delle sue implicazioni, e continuerà a monitorare attentamente la situazione».
Per saperne di più:
- Leggi su Radiology l’articolo “Orbital and Intracranial Effects of Microgravity: Findings at 3-T MR Imaging”, di Larry A. Kramer, Ashot Sargsyan, Khader M. Hasan, James D. Polk e Douglas R. Hamilton