Un ‘clic’, e l’atmosfera sopra il Large Binocular Telescope sparì, rivelando agli occhi degli astronomi un universo più nitido e ricco di sorprendenti dettagli. Niente paura: non c’è stato nessun furto d’aria dalle parti di Mount Graham in Arizona. Quel ‘clic’ era del bottone che attivava il sistema di ottica adattiva di LBT. Un gioiello della tecnica che parla italiano, realizzato da ricercatori e tecnici dell’INAF con il supporto delle industrie del nostro Paese. Il più avanzato al mondo oggi disponibile, in grado di annullare gli effetti di distorsione prodotti dalla turbolenza atmosferica per restituire immagini dettagliatissime. Il superlativo è d’obbligo. Se paragonate a quelle prodotte dal telescopio spaziale Hubble nelle stesse lunghezze d’onda, che è stato spedito in orbita a quasi 600 chilometri di altitudine proprio per evitare questi problemi, le riprese di LBT con ottica adattiva sono 3.6 volte più nitide. “Siamo molto orgogliosi di raccogliere i frutti di anni di impegno: già le prime notti di osservazione ad LBT hanno prodotto i primi articoli scientifici appena pubblicati che coprono diversi ambiti dell’astronomia” commenta Simone Esposito dell’INAF-Osservatorio Astrofisico di Arcetri. “Nella comunità scientifica internazionale articoli di review citano il sistema sviluppato da INAF per LBT come ‘lo stato dell’arte nell’ottica adattiva per astronomia’. Tutto questo grazie ai due componenti chiave: lo specchio secondario adattivo e il sensore a piramide, entrambi completamente made in Italy. Un ottimo esempio di collaborazione tra istituti di ricerca e industrie italiane”. Il sistema lavora ormai a pieno ritmo e i ricercatori sono già passati all’incasso, quello scientifico ovviamente, ottenendo risultati di prim’ordine, che sono stati appena pubblicati on line sul sito arxiv.org.
Quel pianeta così vicino alla sua stella madre
LBT ha prodotto le migliori immagini oggi disponibili del sistema planetario attorno alla stella HR 8799, che si trova in direzione della costellazione del Pegaso e dista da noi circa 130 anni luce. Grazie a queste nuove accurate osservazioni, è stato possibile rivelare per la prima volta nella banda del vicino infrarosso il quarto pianeta, il più vicino alla sua stella madre, precedentemente scoperto a lunghezze d’onda maggiori. Ma oltre ai pianeti, intorno ad HR 8799 si troverebbero due probabili fasce di asteroidi, una all’interno e una all’esterno dei 4 pianeti, rendendolo in qualche modo simile al nostro Sistema Solare. “La misura della luminosità a varie lunghezze d’onda del pianeta appena scoperto e degli altri che compongono il sistema ci consentono di compiere un passo fondamentale nello studio di questi oggetti celesti: studiare finalmente le caratteristiche delle loro atmosfere” dice Silvano Desidera, dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Padova. “I risultati indicano la presenza di strati di nubi di vario spessore, che rendono le atmosfere diverse da quelle delle nane brune con temperature simili. Inoltre abbiamo ricostruito le possibili orbite dei quattro pianeti, trovando fondati indizi per ritenere che siano meno massicci di quanto pensato finora”.
Dentro la culla dove si formano le stelle
Uno degli argomenti oggi più dibattuti nell’ambito dello studio dei processi di formazione stellare è se le stelle si formino a piccoli gruppi (i cosiddetti mini ammassi) o invece singolarmente. Le osservazioni della regione centrale della nebulosa di Orione, denominata Trapezio, con il Large Binocular Telescope hanno permesso di determinare le velocità di stelle di recente formazione in sistemi doppi o tripli con una precisione sette volte maggiore di quelle finora a disposizione. Queste informazioni provano in maniera decisiva il fatto che un gruppo di quattro stelle tra quelle prese in esame si sono formate insieme e sono quindi parte di un mini ammasso. “Queste osservazioni ad alta risoluzione di LBT gettano nuova luce sulle prime fasi della formazione ed evoluzione delle stelle brillanti nella regione del Trapezio” commenta Francesco Palla, dell’INAF-Osservatorio Astrofisico di Arcetri. “Sfruttando il fatto che esse sono parte di sistemi multipli in cui ciascuna stella è accompagnata da una o più compagne di massa minore, è stato possibile determinare con una precisione mai raggiunta nel passato il movimento orbitale e quindi verificare la loro natura fisica. Che si rivela molto più dinamica ed energetica di quanto non si sospettasse finora!”
L’enigma del disco ‘bucato’
Già osservata anche dal telescopio spaziale Hubble, la stella denominata HD 15115, distante circa 150 anni luce, presenta un disco visto di taglio apparentemente asimmetrico, composto di piccoli granelli di polveri che si ritiene sia il prodotto delle collisioni di corpi rocciosi primordiali. LBT con le sue elevate qualità osservative, è andato a sondare le zone più interne di questo disco, ottenendo immagini ad alta risoluzione nella banda di radiazione del vicino infrarosso. “L’analisi delle immagini ha fornito indizi sull’esistenza di una zona apparentemente priva di polveri in prossimità della stella: un vuoto grande 1.5 volte l’orbita di Nettuno intorno al Sole” sottolinea Carmelo Arcidiacono, dell’INAF-Ossevatorio Astronomico di Bologna. “Questo ‘buco’ potrebbe essere stato creato da un pianeta. Le immagini pur dettagliatissime di LBT non ci hanno ancora permesso di individuarlo. Ma se ci fosse, riteniamo che debba avere una massa più piccola di una nana bruna di trenta volte la massa di Giove”.
Per saperne di più:
Il press kit abbinato al comunicato stampa
Gli articoli pubblicati su arxiv.org:
- LBT observations of the HR 8799 planetary system: First detection of HR8799e in H band di S. Esposito et al.
- First Light LBT AO Images of HR 8799 bcde at 1.65 and 3.3 Microns: New Discrepanciesbetween Young Planets and Old Brown Dwarfs di Andrew J. Skemer et al.
- High Resolution Images of Orbital Motion in the Orion Trapezium Cluster with the LBT Adaptive Optics System di L.M. Close et al.
- The Grey Needle: Large Grains in the HD 15115 Debris Disk from LBT/PISCES/Ks and LBTI/LMIRcam/L’ Adaptive Optics Imaging di T. J. Rodigas et al.
Tra gli autori degli articoli ci sono ricercatori INAF dei seguenti Istituti: Osservatorio Astrofisico di Arcetri, Osservatori Astronomici di Bologna, Padova e Roma.