Nella buona e nella cattiva sorte: vale anche per le stelle? Prendiamo i sistemi binari. Finché tutto fila liscio, resistono alla grande, anche miliardi di anni. Ma appena le cose si mettono male, pure le coppie celesti sembrano mostrare segni di cedimento. E per cattiva sorte, nel loro caso, s’intende un incontro che più fatale non si potrebbe: quello con un buco nero. Secondo un articolo in uscita su Astrophysical Journal Letters, sarebbero infatti proprio le stelle doppie, i sistemi binari, la preda d’elezione dei mostri cosmici. I quali, però, si limiterebbero a nutrirsi d’un solo membro della coppia, lasciando fuggire la compagna – magari con qualche pianeta al seguito – a milioni di chilometri all’ora.
Stando al primo autore dello studio, l’astrofisico Ben Bromley della University of Utah, e ai suoi colleghi dello Smithsonian Astrophysical Observatory, questa ipotesi sarebbe in grado di spiegare la velocità con la quale i buchi neri supermassicci – come quello al centro della nostra galassia – mettono su peso. Ma come? Non si era appena congetturato, come riportato anche da Media INAF, che il piatto forte delle abbuffate fossero i dischi di gas? Dischi che, se presenti in coppie disallineate, giustificherebbero anche la rapidità di crescita dei buchi neri? «Può essere, ma sono poi così comuni, questi dischi disallineati», si chiede scettico Bromley, «da risultare significativi per spiegare la crescita dei buchi neri? Che il gas contribuisca alla crescita dei buchi neri va bene, ma come ciò avvenga ancora non si sa». E perché l’ipotesi del pasto a base di mezzi sistemi binari dovrebbe essere più convincente? «Perché il gas, come mostrano le osservazioni di altre galassie, a volte c’è e a volte no», dice Bromley, «mentre di stelle ce ne sono sempre».
D’accordo, mettiamo che sia così. Ma perché coppie, allora, e non semplici stelle solitarie? Anche su questo punto Bromley sembra avere idee piuttosto chiare: «Centrare un buco nero con una stella singola è un’impresa: molto più facile riuscirci con un sistema binario. È un po’ come la differenza fra una fionda, che lancia una sola pietra, e le bolas, che hanno due o più palle legate fra loro: con queste ultime, centrare un bersaglio è assai più semplice». E una volta entrata nel campo gravitazionale del buco nero, di solito la coppia scoppia: mentre una delle due stelle viene catturata e risucchiata, l’altra, venendo improvvisamente meno il legame con la compagna, viene letteralmente fiondata via, diventando quella che gli astrofisici chiamano una stella iperveloce.
Questo meccanismo sarebbe dunque in grado di render conto della velocità di crescita dei buchi neri supermassicci? Stando a Bromley e colleghi, parrebbe proprio di sì. E questo anche rimanendo prudenti, ovvero assumendo che solo il 10% delle stelle faccia parte di sistemi binari, quando invece le osservazioni indicano che a condurre una vita di coppia siano almeno la metà del totale. Il modello, scrivono gli autori dello studio, predice in modo accurato sia il numero di stelle iperveloci (una ogni 1000-100.000 anni) che vengono osservate allontanarsi dalla Via Lattea, sia quello degli ammassi stellari che vengono visti dirigersi verso il buco nero supermassiccio ospitato al suo centro. Facendo un po’ di conti, significa che il buco nero al cuore della Via Lattea, nell’arco degli ultimi 10 miliardi di anni, al ritmo d’un mezzo sistema binario al millennio si sarebbe potuto mangiare l’equivalente di 10 milioni di masse solari: un banchetto ricco a sufficienza, dunque, per giustificare il suo peso attuale, che si aggira attorno ai 4 milioni di masse solari.
Per saperne di più:
- Leggi la press release sul sito della University of Utah
- Leggi l’articolo “Binary Disruption by Massive Black Holes: Hypervelocity Stars, S Stars, and Tidal Disruption Events“, di Benjamin C. Bromley, Scott J. Kenyon, Margaret J. Geller e Warren R. Brown, in uscita su Astrophysical Journal Letters