Continuano ad arrivare a pieno ritmo le immagini e i dati sull’asteroide Vesta, raccolti dagli strumenti a bordo della sonda Dawn della NASA, in orbita da alcuni mesi attorno al corpo celeste. Gli ultimi risultati scientifici ottenuti dalla missione, appena presentati al meeting della European Geosciences Union in corso a Vienna, ci mostrano un mondo inaspettatamente variegato dal punto di vista geologico e con una densità sorprendentemente elevata nelle regioni attorno al suo polo sud.
“Dopo più di nove mesi in orbita attorno a Vesta, gli strumenti di Dawn ci hanno permesso di togliere via via i veli di mistero che avvolgevano questo asteroide gigante, da quando l’uomo lo ha scorto per la prima volta come un semplice punto luminoso nel cielo notturno”, dice Carol Raymond, deputy principal investigator di Dawn presso il Jet Propulsion Laboratory della NASA. “Stiamo per svelare i segreti dell’asteroide gigante”.
La fotocamera a immagini e lo spettrometro italiano VIR (Visual and InfraRed Spectrometer) a bordo di Dawn hanno passato al setaccio la superficie dell’asteroide, in particolare la regione equatoriale denominata Vibidia e i crateri e gli altopiani in prossimità del suo polo sud. E proprio le immagini prese durante le orbite ad alta quota di Dawn (680 chilometri al di sopra della superficie) rivelano chiazze di materiale originariamente fuso in seguito agli impatti di detriti spaziali sulla crosta di Vesta. Queste rocce sono composte da diverse concentrazioni di pirosseni, minerali ricchi di ferro e magnesio, che sono piuttosto comuni anche nelle rocce ignee terrestri.
“Dawn ci permette di studiare in grande dettaglio la varietà di miscele di rocce che compongono la superficie di Vesta”, sottolinea Harald Hiesinger, ricercatore dell’Università di Münster, in Germania che collabora all’analisi delle riprese ottenute dalla fotocamera di Dawn. “Le immagini suggeriscono una straordinaria varietà di processi che costellano la superficie di Vesta”.
Altrettanto importanti sono state le osservazioni della zona del polo sud di Vesta e in particolare del cratere Tarpeia ottenute dallo spettrometro VIR durante una serie di sorvoli a bassa quota, appena 210 chilometri dalla superficie. La conformazione dei ripidi pendii di questo cratere ha esposto vari strati della crosta di Vesta, che appaiono ben delineati e permettono agli scienziati di ricostruire la storia geologica del corpo celeste. Gli strati più vicini alla superficie portano ancora le tracce di contaminazione dei meteoriti che in passato hanno colpito l’asteroide, mentre quelli più profondi e meno ricchi di pirosseni conservano le caratteristiche della crosta primordiale che avvolgeva Vesta.
“Questi risultati che arrivano da Dawn ci suggeriscono che la ‘pelle’ di Vesta è continuamente soggetta a una sorta di lifting”, commenta Maria Cristina De Sanctis, dell’INAF-IAPS di Roma, team leader dello spettrometro VIR. “In regioni come il cratere Tarpea possiamo vedere le zone relativamente giovani della superficie, esposte da movimenti di massa e frane.”
E sempre grazie alle misure dello spettrometro VIR è stato possibile ottenere le più accurate mappe di temperatura superficiale di un asteroide, registrando nella regione di Tarpeia valori massimi che raggiungono i -23 gradi Celsius nelle aree illuminate e possono scendere al di sotto dei -100° C in quelle in ombra con sbalzi repentini, vista l’assenza di atmosfera.
Ma non è tutto. L’ultimo ‘colpo’ messo a segno finora dalla missione Dawn è stato quello di rilevare un’anomalia nel campo gravitazionale di Vesta in prossimità del polo sud dell’asteroide, nella zona del bacino denominato Rheasilvia. Secondo gli scienziati, questa caratteristica può essere dovuta a un impatto di un meteorite che ha letteralmente spazzato via lo strato superficiale di materiale più leggero della crosta dell’asteroide, esponendo gli strati più interni e densi di Vesta.
Un’animazione della sonda Dawn in orbita attorno a Vesta (crediti: NASA):
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