Per esserci c’è, ed è pure grosso: più o meno come Saturno. Gli astronomi sono così certi della sua esistenza da avergli già dato pure il nome: KOI-872c. Ma non c’è alcun modo di vederlo, l’ultimo pianeta extrasolare scovato dalla sonda Kepler della NASA. E allora come hanno fatto a individuarlo e caratterizzarlo? «Mettiamola così: se un treno ad alta velocità arriva in stazione con due ore di ritardo», dice David Nesvorny, del Southwest Research Institute, primo autore dello studio appena uscito su Science, «dev’esserci una buona ragione. Ecco, il trucco è stato capire qual è, questa ragione». Fuor di metafora, se un pianeta, correndo lungo quell’evanescente ma inesorabile binario che è la sua orbita, non arriva mai puntuale agli appuntamenti prestabiliti, dev’esserci qualcosa che lo frena o che lo fa accelerare. Tipo cosa? Per esempio, un altro pianeta.
Il ragionamento non fa una grinza. Ed è anche alla base di un metodo noto da oltre un secolo e mezzo: la misura delle variazioni del tempo di transito (o TTV, transit timing variation). È proprio misurando le discrepanze fra la posizione osservata di Urano e quella attesa in base alla leggi della gravità che il matematico francese Urbain Le Verrier, esperto di meccanica celeste, riuscì nell’agosto del 1846 a predire non solo l’esistenza ma anche la posizione dell’allora sconosciuto Nettuno. Circa due mesi dopo, il pianeta venne effettivamente osservato per la prima volta, esattamente là dove Le Verrier aveva indicato.
Sorte che il gigante alieno appena scoperto da Nesvorny e colleghi difficilmente potrà condividere con Nettuno, quella di venire osservato. La sua rivoluzione attorno alla stella KOI-872 (dove KOI sta per Kepler Object of Interest), che dura circa 57 giorni, segue un’orbita tale da renderlo completamente invisibile persino all’occhio ultrasensibile di Kepler. La sonda NASA, infatti, è progettata per rilevare il cosiddetto “transito”: il passaggio d’un pianeta fra la stella che lo ospita e noi che la osserviamo. Come quello che si verificherà tra il 5 e il 6 giugno prossimi dalle nostre parti, quando Venere “transiterà”, appunto, davanti al Sole. Ma affinché un transito sia visibile occorre che il piano dell’orbita del pianeta sia allineato con il nostro punto di vista: una condizione che solo una piccola percentuale degli esopianeti soddisfa, visto che la probabilità è data dal rapporto fra il diametro della stella madre e il diametro dell’orbita del pianeta.
Nel sistema planetario di KOI-872, però, un pianeta che transita davanti alla stella c’è: si chiama KOI-872b, ed è a lui che è toccato impersonare il ruolo di pianeta perturbato che un secolo e mezzo addietro fu di Urano. Il team guidato da Nesvorny ha ricostruito dall’immenso archivio di Kepler il “diario di bordo” di tutti i suoi passaggi davanti a KOI-872, appuntandosi l’orario esatto di ogni transito. Subito gli scienziati si sono resi conto d’essere davanti a un pianeta che, quanto a puntualità, lascia parecchio a desiderare, con variazioni fino a due ore rispetto alle attese. Armati di modelli matematici e computer, gli scienziati del team si sono quindi messi a valutare i possibili scenari in grado di spiegare queste variazioni temporali. Considerando che la sigla del loro progetto, HEK, sta per Hunt for the Exomoons with Kepler, lo scenario nel quale più speravano era, probabilmente, quello in cui il colpevole delle perturbazioni si fosse rivelato un satellite, una “luna extrasolare”. Invece è saltato fuori un pianeta. Ma gli astronomi hanno comunque motivo di essere soddisfatti: sebbene KOI-872c non sia il primo in assoluto a essere scoperto con il metodo della transit timing variation (vedi su Media INAF il caso di Kepler-19b, che però accumula solo una manciata di minuti di ritardo), questa è la prima volta che, con il metodo alla base della scoperta di Nettuno, si riesce non solo a certificare l’esistenza di un esopianeta invisibile, ma anche a calcolarne la massa e il periodo orbitale.
Per saperne di più:
- Leggi su Science l’articolo “The Detection and Characterization of a Nontransiting Planet by Transit Timing Variations“, di David Nesvorný, David M. Kipping, Lars A. Buchhave, Gáspár Á. Bakos, Joel Hartman e Allan R. Schmitt
Guarda il servizio video sul metodo delle transit timing variation: