A vederle dall’alto, sembrano delle grandi scacchiere composte da grosse tessere di mosaico tutte di colore nero. In realtà sono speciali stazioni per captare i segnali provenienti dal cosmo. In Europa ce ne sono 50, sparse tra Germania, Olanda, Svezia Francia e Regno Unito, che sfruttano il potere ricevente di circa 20.000 antenne, collegate tra loro da una rete informatica che trasmette dati ad altissima velocità tramite connessioni in fibra ottica. Questa immensa ragnatela si chiama LOFAR (LOw Frequency ARray) ed è il più esteso e più complesso radiotelescopio mai costruito. La tecnica con cui è stato concepito e realizzato gli permette di avere le stesse prestazioni di un singolo radiotelescopio grande quanto 20 campi da calcio, indagando i segnali di bassa frequenza provenienti dall’Universo, in particolare tra 15 e 200 MHz. Un intervallo di radiazione finora poco o per nulla esplorato, e quindi una ‘nuova frontiera’ nella radioastronomia.
Una frontiera che è stata varcata durante il collaudo operativo dello strumento, culminato con la realizzazione della prima immagine a frequenze radio fra 20 e 60 MHz dell’ammasso di galassie denominato Abell 2256: un insieme di centinaia di galassie distante circa 800 milioni di anni luce da noi. La ripresa è stata realizzata nell’ambito di uno studio guidato da Reinout van Weeren, dell’Istituto di ricerca olandese ASTRON e della Leiden University e a cui hanno partecipato ricercatori provenienti da 26 Istituti, tra cui anche dell’INAF.
La ripresa era stata pensata per testare la funzionalità di LOFAR e per calibrare i suoi componenti. Ma subito i ricercatori hanno intuito che le informazioni in essa raccolte erano molto più di una semplice immagine di prova. L’analisi dei dati ha infatti evidenziato che l’intensità dell’emissione radio dell’ammasso preso in esame da LOFAR è molto maggiore di quella prevista sulla base di osservazioni già condotte per Abell 2256 da altri radiotelescopi, ma a frequenze più alte. Uno scenario inatteso, che suggerisce ai ricercatori nuove domande sui processi fisici responsabili di questa emissione. “L’idea prevalente emersa negli ultimi anni tra la comunità scientifica è che l’emissione radio dagli ammassi sia prodotta da particelle di alta energia accelerate da shock e turbolenza che vengono generati durante la fase di formazione degli ammassi stessi. Queste prime osservazioni complicano ulteriormente gli scenari teorici”, commenta Gianfranco Brunetti dell’Istituto di Radioastronomia (IRA) dell’INAF, fra gli autori dell’articolo, che assieme a Marcus Brueggen della Jacobs University di Brema, coordina gli studi LOFAR sugli ammassi di galassie.
Insomma, se il buon giorno si vede dal mattino, LOFAR promette di mantenere tutti gli obiettivi scientifici per cui è stato realizzato. Uno dei più ambiziosi che si prefigge questo avanzatissimo radiotelescopio è la mappatura sistematica dell’emisfero nord del cielo, con una sensibilità cento volte maggiore rispetto al passato. Una caratteristica che permetterà al radiotelescopio di rilevare qualcosa come 100 milioni di sorgenti celesti, forse addirittura di più. Questo grande programma di osservazioni coinvolge molte decine di ricercatori da tutto il mondo, fra cui anche alcuni dell’INAF.
“C’e’ un grande interesse trasversale per LOFAR tra gli astrofisici italiani” commenta Luigina Feretti, direttore dell’Istituto di Radioastronomia dell’INAF. “Da qualche anno stiamo cercando di reperire i fondi necessari, circa un milione di Euro, per installare una stazione LOFAR su territorio italiano. Questo permetterebbe un coinvolgimento istituzionale della nostra comunità scientifica in una grande collaborazione internazionale, che si colloca sulla strada verso un’altra pietra miliare per la ricerca astrofisica dei prossimi decenni: il radiotelescopio SKA, lo Square Kilometre Array”.
Per saperne di più:
- Guarda l’intervista di Stefano Parisini a Gianfranco Brunetti sulla prima immagine dell’ammasso di galassie Abell 2256 realizzata da LOFAR:
- Leggi il comunicato stampa INAF
- Leggi l’articolo First LOFAR observations at very low frequencies of cluster-scale non-thermal emission: the case of Abell 2256 di R. J. van Weeren, H. J. A. Rottgering, D. A. Rafferty, R. Pizzo, A. Bonafede, M. Bruggen, G. Brunetti et al. in pubblicazione sulla rivista Astronomy&Astrophysics