C’è ancora molto da scoprire nella nostra Galassia. Lo confermano due studi, pubblicati a poche ore di distanza, che sono andati a indagare cosa succede in due regioni particolarmente critiche per capire l’evoluzione della Via Lattea: l’alone galattico da una parte, il nucleo centrale dall’altro.
Cominciamo dallo studio appena pubblicato su Nature da Jason Kalirai, della Johns Hopkins University. Che propone un ingegnoso metodo per stimare l’età delle stelle nell’alone della Via Lattea, la regione che si estende al di fuori del piano del disco galattico. Attualmente, gli astronomi dispongono di diversi metodi per stimare l’età delle popolazioni stellari nella nostra galassia. Danno risultati abbastanza precisi per le stelle che fanno parte di ammassi globulari, ma molto più incerti per quelle isolate, i “cani sciolti” che non fanno parte di nessun ammasso, particolarmente abbondanti proprio nell’alone. Per le stelle di questo tipo, le stime hanno margini di incertezza fino a 2 miliardi di anni.
Kalirai ha scelto di usare come “cronometro” una particolare classe di stelle all’interno dell’alone, le nane bianche appena formate. Le nane bianche sono stelle piccole e poco luminose che rappresentano l’ultima fase di evoluzione delle stelle di piccola e media massa. Visto che la massa di una nana bianca dipende strettamente dall’età della stella da cui deriva (più è giovane la progenitrice, più massa ha la nana bianca), l’autore ha potuto stimare l’età delle stelle progenitrici. Per fare i calcoli, e mettere in relazione massa ed età delle stelle, ha usato come riferimento i dati ottenuti studiando le nane bianche nell’ammasso globulare Messier 4, la cui età è stimata con buona sicurezza in 12,5 miliardi di anni. In questo modo ha potuto calcolare, per le stelle della parte più interna dell’alone, un’età di 11,4 miliardi di anni, con un margine errore di 0,7 miliardi di anni.
L’importanza di questo studio sta soprattutto nell’aiuto che potrà dare a chi cerca di ricostruire le diverse fasi di formazione ed evoluzione dell’alone galattico. Al momento, la maggior parte degli astronomi pensa che sia costituito da due popolazioni stellari diverse: le stelle nella parte più interna dell’alone sarebbero nate dalla fusione di frammenti proto galattici di grande massa e alto contenuto di metalli. Invece, quelle dell’alone esterno si sarebbero formate da frammenti di massa e contenuto metallico minori, e dovrebbero essere più vecchie. Cosa che il metodo di Kalirai, applicato anche all’alone esterno, potrebbe ora confermare.
L’altro studio, pubblicato qualche ora prima su Arxiv e presto anche su Astrophysical Journal, si concentra invece su Sagittario A*, il buco nero supermassiccio che si trova proprio al centro della Via Lattea. Sagittario A* è sempre stato considerato un buco nero “atipico”, rispetto a quelli delle altre galassie, perché estremamente tranquillo. Lo studio, basato su dati raccolti dallo strumento LAT del satellite Fermi e firmato da Douglas Finkbeiner e Meng Su dello Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics, suggerisce invece che non sia sempre stato così tranquillo. In un passato non molto lontano, fino a 50.000 anni fa, il buco nero avrebbe creato dei getti di raggi gamma capaci di viaggiare fino a 27.000 anni luce dal nucleo della galassia. I getti, o meglio l’immagine fantasma che ne resta, appaiono lunghi e sottili, visibili soprattutto nei raggi gamma a più alta energia, e più luminosi rispetto ai sistemi interstellari circostanti. Questi getti, secondo gli autori, potrebbero spiegare la nascita di due enormi “bubble”, bolle di raggi gamma che si estendono a nord e a sud del centro galattico, rivelate nel 2010 proprio da Fermi. Le bolle sono orientate in modo perpendicolare al piano della Via Lattea, mentre i getti si proiettano con un angolo di circa 15 gradi rispetto al piano. L’inclinazione potrebbe riflettere l’orientamento del buco nero.
Il segnale che ha permesso ai ricercatori di descrivere i due jet è però molto debole, e non ha, almeno per ora, la significatività statistica necessaria per parlare di una scoperta. “Parlerei di un indizio, più che di evidenza convincente” commenta Patrizia Caraveo, responsabile scientifico del satellite Fermi per INAF. “Se si fanno due conti, l’energia dei jets indicata dagli autori non sarebbe neanche lontanamente sufficiente a gonfiare le bubble. In più, per produrre raggi gamma da 200 MeV ci vogliono elettroni molto energetici, che hanno vita molto più breve di quella necessaria per percorrere il jet”. Insomma, ci vorrà qualcosa in più per togliere a Sagittario A* la sua fama di buco nero tranquillo.
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