L’ULTIMA MISURA TRE GIORNI PRIMA DEL SISMA

La deriva dei radiotelescopi

La superficie della Terra è in continuo movimento, e i terremoti sono purtroppo lì a ricordarcelo. Spostamenti millimetrici, che però non sfuggono alle antenne dei radioastronomi: grazie alla tecnica VLBI, misurano da 27 anni il moto delle placche.

     12/06/2012

Le antenne VLBI europee (circoletti verdi) e la loro velocità di spostamento (frecce blu) negli ultimi decenni

Non sono mai stati così vicini come quest’anno, Pierguido Sarti e il suo collega Wolfgang Schlüter. Entrambi geodeti, studiano la Terra usando i radiotelescopi. Pierguido lavora presso quello di Medicina dell’INAF, in provincia di Bologna. Wolfgang, invece, è di stanza all’antenna di Wettzell, in Germania, a oltre 500 chilometri di distanza. Mai così vicini, dicevamo, pur senza mai essersi alzati dalla sedia: a spostarsi, lentissima ma inesorabile, è stata la terra sotto i loro piedi. Nel 1987, le due radioantenne distavano 522 chilometri 461 metri e 12 centimetri l’una dall’altra. Oggi, millimetro più millimetro meno, quella distanza si è ridotta a 522 chilometri 461 metri e 7 centimetri. E se 5 centimetri in meno su oltre 500 chilometri possono sembrare pochi, faremmo bene a chiederci che fine abbiano fatto. Perché quei 5 centimetri di pianeta erano lì, su questo non c’è dubbio. E una drammatica conseguenza della loro apparente scomparsa ce la ritroviamo in questi giorni sotto i nostri occhi in Emilia, con la sequenza sismica iniziata lo scorso 20 maggio.

Quei 5 centimetri mancano all’appello perché la placca africana spinge verso nord, verso quella eurasiatica. Un movimento impercettibile, ma identificato e misurato da decenni con numerose tecniche. Quella alla quale fanno ricorso Pierguido Sarti e i suoi colleghi, detta VLBI (Very Long Baseline Interferometry), oltre a permettere misure di precisione estrema, essendo la più “antica” tecnica di geodesia spaziale è anche quella con la serie storica di dati omogenei più lunga utilizzata per studi a scala globale: ben 27 anni, rispetto ai 23 del satellite laser-ranging e ai 12 del GPS. Ed è una tecnica direttamente mutuata dall’astrofisica.

«Utilizziamo i segnali che vengono emessi dalle radio-sorgenti extragalattiche, in particolare le quasar. Ciò che facciamo», spiega Sarti, «è misurare il ritardo con il quale il segnale proveniente dalle quasar arriva a un’antenna rispetto all’altra. Ritardo che è collegato in maniera diretta alla distanza fra i radiotelescopi. Ripetendola nel tempo a intervalli regolari, riusciamo a capire quanto varia. In realtà, non usiamo due antenne, ma di più, anche sei o sette. E questo ci mostra come le placche tettoniche sulle quali le antenne sono situate si avvicinano o si allontanano l’una rispetto all’altra».

La riduzione della distanza, nel corso degli anni, fra l'antenna di Medicina (BO) e quella tedesca di Wettzell

Guardando la mappa europea (vedi immagine in alto), in effetti, è facile notare come le frecce che indicano lo spostamento delle antenne riguardino esclusivamente le tre stazioni VLBI italiane. Gli altri radiotelescopi, situati sulla placca eurasiatica, negli ultimi decenni sono rimasti pressoché immobili l’uno rispetto all’altro. I tre di Medicina (BO), Matera e Noto (SR), al contrario, presentano spostamenti planimetrici – cioè, orizzontali – che variano dai 2.2 mm di Medicina in direzione nord-nordest fino ai 5 mm all’anno di Noto, in direzione nord-nordovest. A conferma che, dal punto di vista geodetico, quelli su cui si ergono i tre radiotelescopi italiani (ai quali presto si aggiungerà SRT, in Sardegna) sono siti strategici: con Noto che risente principalmente della placca africana, Matera quasi al confine fra placca adriatica e placca ionica, e infine quello di Medicina, incastonato fra gli Appennini e la faglia che si è riattivata in questi giorni in Pianura padana.

Ma con quale precisione vengono registrati, questi spostamenti? «Dipende dal numero di dati acquisiti. Si tratta comunque di precisioni submillimetriche, dunque meglio di un millimetro, anche su distanze di migliaia di chilometri. Si tratta però di una precisione strettamente formale, statistica, perché a causa di eventuali errori sistematici non sempre corrisponde all’accuratezza. In ogni caso, l’accuratezza che riusciamo a raggiungere è sicuramente al di sotto del centimetro. Nel corso degli anni, per quanto riguarda la distanza fra Medicina e Wettzell, abbiamo effettuato 265 misure (vedi grafico). L’ultima risale proprio al 17 maggio, dunque appena tre giorni prima dell’evento sismico. E il prossimo esperimento è in programma per il 20 giugno».

Per saperne di più, guarda l’intervista video a Pierguido Sarti: