A 12,5 MILIARDI DI ANNI LUCE

La galassia nella polvere

Finalmente misurata la distanza dell'elusiva galassia HDF850.1, scoperta nel 1998 nelle onde submillimetriche ma invisibile perfino al telescopio Hubble perché nascosta da nubi di gas e polvere. Il risultato ottenuto grazie alle righe spettrali associate al monossido di carbonio. Il lavoro pubblicato su Nature.

     13/06/2012

La regione dell'Hubble Deep Field dove si trova HDF850.1. La croce indica la posizione dell'oggetto celeste individuata grazie alle osservazioni nelle onde submillimetriche, che risulta però invisibile alle osservazioni di Hubble. Crediti: STScI / NASA, F. Walter (MPIA)

C’è una piccola porzione nel cielo in direzione della costellazione dell’Orsa maggiore , grande appena un centesimo della dimensione apparente della luna piena, che negli ultimi anni è diventata una vera e propria miniera di informazioni per gli astronomi di tutto il mondo. La sua sigla è HDF, che sta per Hubble Deep Field, dal nome del telescopio spaziale che a partire dal 1995 vi ha condotto una lunga serie di osservazioni nella banda di radiazione che va dall’infrarosso all’ultravioletto, scovando oltre tremila galassie distanti, alcune addirittura ad oltre 12 miliardi di anni luce. Altre indagini si sono susseguite negli anni con altri strumenti che hanno scandagliato HDF in tutto lo spettro elettromagnetico.

Così è stata scoperta nel 1998, grazie alle osservazioni nelle onde sub millimetriche del telescopio James Clerk Maxwell, alle isole Hawaii, la galassia denominata HDF850.1, che si è rivelata una eccezionale fucina stellare. Al suo interno infatti vengono prodotti ogni anno nuovi astri per una massa complessiva equivalente a quella di mille soli. In paragone, una galassia ‘normale’ come ad esempio la nostra, produce meno di una massa solare di nuove stelle per anno. Nonostante però la sorgente più luminosa all’interno di HDF nelle onde submillimetriche, alcune informazioni basilari su questo oggetto celeste, come la sua esatta posizione e la sua distanza, sono rimaste a lungo ignote. Infatti HDF850.1 è completamente invisibile nelle riprese di Hubble. Il motivo? Le stelle si formano all’interno di gigantesche e dense nubi di gas e polveri che bloccano la stragrande maggioranza della luce visibile, permettendo però alla radiazione con lunghezze d’onda maggiori di passare e quindi di essere rivelata dai nostri strumenti.

Ora però un gruppo internazionale di ricercatori, guidato da Fabian Walter del Max-Planck-Institut für Astronomie di Heidelberg in Germania, è riuscito a risolvere il mistero, scoprendo che HDF850.1 è una galassia distantissima, che si trova a 12,5 miliardi di anni luce da noi, in un’epoca in cui l’universo si era formato solo un miliardo e cento milioni di anni prima. Un risultato ottenuto grazie alle misure condotte con l’interferometro IRAM installato al Plateau de Bure sulle Alpi francesi che è stato in grado di osservare alcune particolari righe nello spettro elettromagnetico della radiazione proveniente da HDF850.1: quelle associate alle transazioni molecolari del monossido di carbonio (CO).

Combinando poi queste informazioni con quelle ottenute da un altro radiotelescopio, il Very Large Array (VLA) nel New Mexico, il team ha scoperto che una grande porzione della massa della galassia si presenta allo stato di molecole, i ‘mattoni’ delle nuove stelle. Un valore molto superiore a quello che si trova nelle galassie che popolano il nostro vicinato cosmico.

Una volta determinata la distanza di HDF850.1, i ricercatori sono stati in grado di caratterizzare meglio l’ambiente ad essa circostante, riuscendo a dimostrare che è parte di quello che sembra essere il nucleo primordiale di un ammasso di galassie – uno dei due soli oggetti celesti di questo tipo fino ad oggi conosciuti.

“Questa e’ una delle prime galassie nell’universo lontano identificate direttamente tramite la misura di transizioni molecolari osservate nelle bande millimetriche” commenta Roberto Maiolino, del Cavendish Laboratory di Cambridge, già astronomo presso l’INAF-Osservatorio Astronomico di Roma, che ha partecipato allo studio pubblicato nell’ultimo numero della rivista Nature. “Certamente si tratta ad oggi della galassia più distante identificata con questo metodo rivoluzionario. Le transizioni molecolari (precisamente del monossido di carbonio) sono emesse da un’enorme quantità di gas contenuta in questa galassia primordiale. Nelle bande ottiche e infrarosse, in cui solitamente le galassie vengono identificate per misurarne la distanza (il redshift), tale galassia rimane invisibile a causa dell’elevatissimo oscuramento da polvere a queste lunghezze d’onda. Tale risultato dimostra che questa classe di galassie primordiali altamente oscurate possono essere identificate solo tramite osservazioni nelle bande millimetriche o radio (dove l’oscuramento da polvere e’ trascurabile). Nel prossimo futuro osservazioni come questa con osservatori ancora piu’ potenti, come ALMA, consentiranno di identificare un gran numero di galassie oscurate nell’ universo primordiale, fornendo una descrizione dettagliata delle prime fasi di formazione delle galassie”.

 

Per saperne di più:

  • l’articolo The intense starburst HDF 850.1 in a galaxy overdensity at z≈ 5.2 in the Hubble Deep Field di Fabian Walter, Roberto Decarli, Chris Carilli, Frank Bertoldi, Pierre Cox, Elisabete Da Cunha, Emanuele Daddi, Mark Dickinson, Dennis Downes, David Elbaz, Richard Ellis, Jacqueline Hodge, Roberto Neri, Dominik A. Riechers, Axel Weiss, Eric Bell, Helmut Dannerbauer, Melanie Krips, Mark Krumholz, Lindley Lentati, Roberto Maiolino, Karl Menten, Hans-Walter Rix, Brant Robertson, Hyron Spinrad, Dan P. Stark & Daniel Stern pubblicato sul sito web della rivista Nature