Freddo sì, ombroso e tranquillo ancora di più, ma probabilmente arido. E’ il cratere Shackleton, venti kilometri di diametro per 4 e mezzo di profondità, vicino al polo sud della Luna. E’ da sempre una delle regioni più studiate del nostro satellite perché la sua posizione (dove non arriva quasi per nulla luce solare) lo rende un ottimo candidato a ospitare composti volatili, compresa acqua in forma di ghiaccio. E in effetti, il fatto che il suo fondo rifletta la luce in modo diverso dalle pareti potrebbe, in teoria, essere spiegato proprio dalla presenza di ghiaccio depositato sul fondo del cratere.
Ma una ricerca pubblicata su Nature e basata sui dati della sonda NASA Lunar Reconnaissance Orbiter (LRO) porta ad accantonare questa ipotesi. Lo sostengono Maria Zuber e colleghi del Massachusetts Institute of Technology (MIT), che hanno studiato i dati forniti dallo strumento LOLA (Lunar Orbiter Laser Altimeter), capace di illuminare con il suo laser regioni della Luna con diametro di 5 metri per volta, ricostruendo altimetria e proprietà riflettenti della superficie. Sulla base dei 5 miliardi di misure ottenute fino al 1 dicembre 2011, i ricercatori hanno costruito una mappa della zona di Shackleton con una risoluzione mai ottenuta prima. Conclusioni: Shackleton è un antico, insolitamente ben preservato cratere di impatto, le cui pareti interne sono di formazione più recente rispetto al bordo del cratere o al fondo. Quest’ultimo è apparentemente cambiato poco dal momento della sua formazione, 3 miliardi di anni fa. La spiegazione più plausibile di quanto avviene nel cratere, spiegano gli autori, è che si verifichino frane di regolite (lo strato di materiale granuloso che copre la roccia lunare) lungo le pareti, portando in superficie gli strati sottostanti più giovani. Le differenze di luminosità tra pareti e fondo del cratere (quest’ultimo appare più chiaro) andrebbe quindi spiegato così, piuttosto che con la presenza di ghiaccio. Possibilità che tuttavia non può ancora essere esclusa.