In attesa di poter mettere le mani sui tesori inestimabili celati nelle viscere degli asteroidi, l’industria mineraria scalda i motori ispezionando quelli piovuti dal cielo sotto forma di meteoriti. È stata infatti una compagnia mineraria canadese, a caccia di riserve di nichel e platino, la prima a dare credito a una squadra di scienziati che sosteneva d’aver individuato, sotto alle rocce della Groenlandia, i segni del più antico cratere da impatto mai scoperto: 3 miliardi di anni. Talmente antico da spostare indietro la lancetta del tempo di un buon miliardo di anni rispetto al record precedente, detenuto dall’enorme cratere sudafricano Vredefort – 300 chilometri di diametro per 2 miliardi di anni d’età.
Ora, dopo tre anni d’indagine serrata, arriva finalmente la convalida. Con la pubblicazione su Earth and Planetary Science Letters, anche la comunità scientifica appone il suo sigillo alla scoperta del team internazionale guidato da Adam A. Garde, del Geological Survey of Denmark and Greenland (GEUS) di Copenhagen, e del quale fanno parte anche scienziati della Cardiff University (Galles), della Lund University (Svezia) e dell’Istituto di scienze planetarie di Mosca.
A tenere il giudizio degli scienziati sospeso così a lungo, non solo l’improbabilità d’un ritrovamento risalente a un’epoca così remota, ma anche la difficoltà a individuarne le tracce. Perché se è vero che la maggior parte dei crateri lunari, pur perfettamente visibili, s’è formata a seguito d’impatti con asteroidi e comete risalenti a 3-4 miliardi d’anni fa, sulla Terra la situazione è ben diversa. Nel corso di 3 miliardi di anni che ci separano dall’evento, i processi d’erosione attivi sul nostro pianeta hanno “scavato” in profondità, rimuovendo fino a 25 km di crosta rispetto a quella che era la superficie rocciosa dell’epoca. Ma l’impatto dev’essere stato talmente violento che l’onda d’urto che ne è seguita è penetrata così a fondo – come mai nessun altro cratere conosciuto, affermano gli scienziati – da lasciare comunque una traccia.
«Il processo di ricostruzione dei fatti è stato un po’ alla Sherlock Holmes», spiega Iain McDonald, della Cardiff University. «Dopo aver scartato tutte le ipotesi impossibili in base ai processi terrestri convenzionali, non c’è rimasta altra spiegazione se non quella d’un gigantesco impatto».
Per saperne di più:
- Leggi l’articolo “Searching for giant, ancient impact structures on Earth: The Mesoarchaean Maniitsoq structure, West Greenland“, di Adam A. Gardea, Iain McDonaldb, Brendan Dyckc e Nynke Keulena