LO STUDIO DELLA GIOVANE STELLA V1647 ORIONIS

Piccoli soli crescono

Tre satelliti uniscono le forze per studiare l'emissione in raggi X di una giovane stella ancora in formazione, rivelando alcuni dei meccanismi fondamentali che avvengono durante l'infanzia di una stella non troppo diversa dal nostro Sole.

     05/07/2012

V1647 Orionis ripresa dal Gillett Gemini Telescope delle Hawaii, il 14 febbraio 2004. (Gemini Observatory)

Una rara visione dei potenti fenomeni che accompagnano la formazione di una stella nuova è stata ottenuta combinando i dati provenienti da un tris di telescopi a raggi X,  il satellite Chandra della Nasa, XMM-Newton dell’ESA e il satellite giapponese Suzaku. Lo studio basato su queste osservazioni indica che intensi campi magnetici conducono torrenti di gas nella superficie stellare, dove riscaldano ampie aree a milioni di gradi. I raggi X emessi da questi punti caldi sono il segno della rapida rotazione della stella appena nata.

Gli astronomi avevano scoperto una giovane stella, conosciuta come V1647 Orionis nel gennaio del 2004, quando era vicina al picco di un’esplosione. Quest’ultima ha illuminato a tal punto la stella da far brillare una zona conica di polvere circostante, ora conosciuta come Nebulosa McNeil. Sia la stella che la nebulosa si trovano a circa 1.300 anni luce di distanza nella costellazione di Orione. Gli astronomi hanno subito constatato come V1647 Ori fosse una protostella, una giovane stella in parte ancora avvolta nella nuvola da cui è nata. “Sulla base degli studi a raggi infrarossi, abbiamo il sospetto che questa protostella non abbia più di un milione di anni, e probabilmente molti di meno”, ha detto Kenji Hamaguchi, un astrofisico della NASA Goddard Space Flight Center di Greenbelt, nel Maryland, e autore principale dello studio.

Le protostelle non hanno ancora sviluppato la capacità di generazione di energia che caratterizza una stella normale, come il Sole, che fonde l’idrogeno in elio nel suo nucleo. Per V1647 Ori, questa fase avverrà tra milioni di anni. Fino ad allora, la protostella emetterà luce grazie all’energia termica liberata dai gas che continuano a cadere su di essa, molti dei quali hanno origine in un disco rotante circumstellare.

La massa di Ori V1647 è probabilmente attorno all’8 per cento di quella del Sole, ma la sua bassa densità la dilata fino a raggiungere dimensioni cinque volte superiori. Misurazioni a infrarossi mostrano che la maggior parte della superficie della stella ha una temperatura intorno ai 3.500 gradi centigradi, quindi circa un terzo più fredda del Sole. Tuttavia, durante l’esplosione del 2003, la luminosità a raggi X della protostella aumentò fino a 100 volte e la temperatura dei suoi raggi X raggiunse circa 50 milioni di gradi. Una nuova eruzione è iniziata nel 2008 e continua ancora oggi.

Durante le esplosioni, le variazioni di luminosità a lunghezza d’onda ottica e infrarossa potrebbero essere rappresentate da cambiamenti nella principale fonte di energia della protostella, l’afflusso della materia sulla stella. “V1647 Ori ci ha dato la prima prova diretta che una protostella allenti la sua attività a raggi X in proporzione all’aumento della sua massa”, ha detto il co-autore Nicolas Grosso, un astrofisico del Centro nazionale francese per la Ricerca Scientifica (CNRS) a Strasburgo Osservatorio Astronomico.

Per esplorare il processo di emissione in dettaglio e identificare dove abbiano orgine i raggi X, se sulla stella o sul disco, gli scienziati hanno ri-analizzato tutte le osservazioni di V1647 Ori da tre satelliti a raggi X: appunto Chandra, Suzaku e XMM- Newton.

Nel numero del 20 luglio del The Astrophysical Journal, il team descrive forti somiglianze tra 11 diverse curve di luce a raggi X che hanno permesso loro di individuare variazioni cicliche dell’emissione X. Sorprendentemente, questi segnali periodici stabiliscono che la stella è in rotazione una volta al giorno. V1647 Ori è tra le più giovani stelle il cui tasso di rotazione è stato determinato utilizzando un tecnica di base di raggi X.

“Considerando che V1647 Ori è circa cinque volte la dimensione del sole, la rapida rotazione conferma che si sta osservando un oggetto stellare giovane che sta acquistando il suo autocontrollo”, ha detto il co-autore Joel Kastner, professore di scienze astronomiche e tecnologia al Rochester Institute of Technology di New York.

I cambiamenti ciclici dei raggi X rappresentano l’apparizione e la scomparsa di regioni calde sulla stella che ruotando finiscono ora fuori e ora dentro al nostro campo visivo. Il modello che meglio concorda con le osservazioni, dicono i ricercatori, prevede due punti caldi di diversa luminosità sui lati opposti della stella.