Abbiamo quasi perso il conto di quante missioni il pianeta Terra ha inviato verso il pianeta Marte. Forse una quarantina, tra russe, americane, europee e giapponesi. Circa la metà sono fallite, con un tasso di fallimento che, sorprendentemente, non diminuisce molto col tempo. Indice, forse, che le missioni sono sempre più ambiziose e quindi sempre più complesse. Meno della metà di quelle coronate da successo ha avuto una fase più o meno fortunata di “ammartaggio”. A partire dal primo, quello russo del 1971, sul suolo marziano è finita quasi una decina di tonnellate di ferraglia terrestre (e speriamo che fosse sterile davvero…).
Adesso siamo in attesa della delicata fase finale della missione NASA Curiosity, la più ambiziosa: lunedì 6 agosto scenderà su Marte un rover da quasi una tonnellata: grande, appunto, come una Land Rover, per un costo di almeno due miliardi e mezzo. Tutti si aspettano grandi cose da Curiosity, ma la NASA mette le mani avanti: non ha a bordo strumenti capaci di cercare la vita su Marte, solo di capire se ci potrebbe essere. E qui c’è il buco, grande come una casa, del programma di esplorazione robotica planetaria NASA: ma perché, dai tempi dei due gloriosi Viking voluti da Carl Sagan nel 1977-1978, non si è più tentato un vero esperimento di ricerca della vita?
E’ la domanda che si ponevano molti dei grandi planetologi presenti alla General Assembly del COSPAR, appena finita a Mysore, in India. E nessuno, compresi esperti NASA, ha saputo dare una risposta convincente. E’ forse troppo difficile cercare la vita in modo “remoto”, con un robot sulla superficie? Carl Sagan almeno ci tentava, sfiorando il ridicolo quando, semiserio, disse che sul Viking avrebbero dovuto mettere un faro: forse la fauna marziana era notturna…E a peggiorare le cose, la NASA ha mollato Exomars, il prossimo robot per Marte, ora in costruzione tra ESA e Russia. Mossa difficile da capire, tenuto conto che Exomars, almeno sulla carta, ha le migliori possibilità dai Viking ad oggi di trovare vita: andrà a cercarla sottoterra, dove forse è nascosta, al sicuro dalle radiazioni e dagli estremi climatici della superficie.
Che cosa ha in mente, allora, la NASA? Dopo il ciclone Bush e le sue futili sparate sul ritorno umano alla Luna, ora scomparse (lasciamo fare ai cinesi, abbiamo già dato), Obama (contando di restare al suo posto per altri 4 anni) dice che è ora di pensare seriamente al ritorno dell’uomo nello spazio. Ma alla grande: lasciamo ai cosiddetti “privati” di giocare con quel costoso giocattolo che è la Stazione Spaziale Internazionale, almeno ancora per qualche anno. E per quanto riguarda l’esplorazione robotica del sistema solare, certo, andiamo avanti. Ma il grosso dei soldi per il futuro deve andare al ritorno dell’uomo americano nello spazio profondo, non per un dejà vu.
La Casa Bianca sa benissimo che, nello spazio, no astronauts, no party. Ma non più sulla ISS, logorata da anni di vita e centinaia di astronauti, tutti a fare più o meno la stessa cosa. Bisogna far sognare il contribuente. L’idea di una missione umana, ad un asteroide prima e a Marte dopo, quella sì fa sognare, molto più del 50° pezzo di ferro buttato su Marte. Per andare con un equipaggio umano su Marte, e riportarlo a Terra possibilmente vivo, bisogna inventare una nuova propulsione, cioè quella nucleare. E’ su questo che la NASA sta lavorando ? Chissà. Certo la spinta di sviluppo tecnologico per una missione umana di spazio profondo sarebbe finalmente innovativa, e tale da assicurare un altissimo ritorno economico al pur grande investimento iniziale. Questo, in realtà, è quello che conta, e alla NASA lo sanno benissimo. E’ questo il vero risultato di una missione umana su Marte, più importante persino di un eventuale sasso con pesce fossile trovato dallo sguardo attento di un astronauta…
Giovanni Fabrizio Bignami
Presidente INAF e COSPAR (Committee on Space Research)