Niente Higgs, a differenza di quello che qualcuno si aspettava e che qualcuno persino sperava. Il Premio Nobel per la Fisica 2012 non è andato né al fisico inglese che quasi mezzo secolo fa descrisse il bosone che conferisce la massa alle altre particelle, né tantomeno ai leader degli esperimenti che quest’anno ne hanno confermato l’esistenza. A ricevere il premio sono invece l’americano David Wineland e il francese Serge Haroche. Con il loro lavoro, rispettivamente all’Università del Colorado a Boulder e all’Ecole Normale Supérieure di Parigi, hanno dato contributi fondamentale all’ottica quantistica, ovvero lo studio delle interazioni tra la radiazione elettromagnetica e la materia a scala subatomica. Sono due specialisti nel creare “trappole”, in cui atomi o fotoni sono costretti a mantenere la coerenza quantistica, ovvero rendere visibili e misurabili quelle proprietà che di solito la semplice osservazione nel corso di un esperimento fa “collassare” verso le leggi della meccanica classica. Per esempio, la possibilità per uno ione (un atomo elettricamente carico) di occupare contemporaneamente due livelli di energia diversi. Diverse, e in un certo senso complementari, le tecniche sviluppate dai due vincitori. David Wineland usa la luce, in particolare la luce laser, per intrappolare gli ioni. Serge Haroche fa l’esatto contrario, usando gli atomi per creare trappole in cui far muovere i fotoni. In entrambi i casi, si impara a controllare delle proprietà che potrebbero un giorno diventare le basi per costruire computer quantistici, in grado di eseguire operazioni logiche molto più velocemente di quanto non avvenga nei computer attuali.
Per Roberto Battiston, Presidente della Commissione Nazionale per la Fisica Astroparticellare dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), “il Nobel di quest’anno premia degli eccellenti esempi di fisica. In un certo senso questi lavori sono il trionfo della meccanica quantistica, soprattutto quella legata alla teoria dell’informazione. Il nocciolo del premio è il fatto che il singolo atomo opportunamente trattato abbia, grazie alle sue intime caratteristiche quantistiche, potenzialità di calcolo straordinarie. Oggi sono solo promesse ma potrebbero un domani portare a una vera rivoluzione informatica. E sono ricerche sviluppate in particolare negli ultimi vent’anni”.
Un po’ di delusione è inevitabile, visto anche l’importantissimo ruolo italiano nei due esperimenti (ATLAS e CMS) che a luglio hanno annunciato la scoperta di “quella” nuova particella. “Dopo il battage su Higgs c’erano molte attese per un Nobel che premiasse quel lavoro” ammette Battiston. “Ma qui c’è anche un problema di sociologia della scienza. Da una parte c’era una comunità molto grande e importante, quella della fisica delle alte energie e degli acceleratori, che ha prodotto un risultato a cui hanno lavorato migliaia di persone. Lo stesso quadro teorico, anche se si tende a ricordare solo Peter Higgs, si deve ad altri cinque scienziati oltre lui. Stoccolma premia invece due persone che lavorano in piccoli laboratori, fanno cose molto meno rumorose dal punto di vista mediatico. Nella scelta c’è forse anche il tentativo di rimarcare che i progressi scientifici possono venire anche da realtà più piccole. Ma di certo i membri del comitato Nobel si sono trovati di fronte a un problema: come si fanno a premiare scienziati che lavorano su esperimenti grandi come portaerei? Per come si fa scienza oggi, sarebbe del tutto ragionevole cambiare le regole (il Nobel può andare solo a individui, e a non pià di tre, ndr) e riconoscere il Nobel a una comunità, nel caso del bosone di Higgs quella del CERN”.
Un altro aspetto che può stupire nella scelta del comitato svedese è che il premio va a un lavoro quasi “applicativo”, riconosce il virtuosismo sperimentale più che nuovi contributi teorici. Ma questo secondo Battiston è vero fino a un certo punto. “La meccanica quantistica è questa meravigliosa teoria in cui da un certo punto di vista non si è aggiunto niente dopo quello che hanno fatto i padri negli anni Trenta, ma al tempo stesso ci sono stati progressi tecnologici enormi negli ultimi anni. In realtà ‘tutto quello spazio là in fondo’ di cui parlava Richard Feynman (“There’s plenty of room at the bottom”, il discorso con cui il grande fisico americano nel 1959 apriva la strada alle nanotecnologie, ndr) è rimasto inutilizzato per decenni. Finché sono arrivati i computer che permettono di risolvere equazioni estremamente complesse e di visualizzare i fenomeni, che per i fisici è un modo importante per capirli. Se da un lato non c’è fisica fondamentale nuova in questi lavori, dall’altro iniziamo a vedere i fenomeni complessi che derivano dai principi fondamentali della meccanica quantistica, e iniziamo a risalire i passaggi che portano dal mondo subatomico al mondo che osserviamo noi alla nostra scala. È una strada ancora molto lunga, ma a differenza della fisica che si fa con i grandi acceleratori o i grandi telescopi, qui si tratta ancora di studiare fenomeni che avvengono sul tavolo di un laboratorio”.
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