L’ipotensione ortostatica, ovvero l’abbassamento repentino della pressione sanguigna arteriosa nel passaggio dalla posizione sdraiata o seduta alla posizione eretta, è un effetto noto sia alla medicina tradizionale che alla medicina spaziale. L’ambiente spaziale offre una gravità assai ridotta (microgravità) rispetto a quella terrestre. Nel passaggio dalla Terra allo Spazio il sistema cardiocircolatorio si adatta dunque alla quasi totale assenza di gravità e di pressione idrostatica. Questa variazione determina una migrazione di liquidi verso la parte superiore del corpo da cui la classica faccia gonfia e paffuta degli astronauti, in particolare nei primi giorni di volo (“puffy face and chicken legs“, come indicano sinteticamente gli autori dello studio). Per compensare questo esagerato afflusso di liquidi verso la parte superiore del corpo, l’organismo espelle una grande quantità di liquidi con le urine tentando di riequilibrare quello che recepisce come un aumento pressorio.
Il rientro sulla Terra ha l’effetto esattamente contrario. Con il ritorno alla gravità terrestre i liquidi migrano verso le estremità declivi determinando una rapida caduta pressoria (ipotensione ortostatica) che colpisce la quasi totalità degli astronauti dopo missioni di lunga durata. Ovviamente, prima del rientro a Terra, vengono adottate misure per contrastare (contromisure) questo effetto, ma purtroppo sufficienti solo a contenerne gli effetti e dunque non risolutive.
Tuttavia questo spiacevole effetto è riscontrabile anche a Terra ed in particolare, ma non solo, negli anziani e nei soggetti che subiscono un allettamento prolungato a causa di patologie diverse. Riscontri nella direzione dei dati riportati su Faseb sono citati in studi di allettamento prolungato (bed rest) su volontari sani. Questo tipo di studi simulano efficacemente alcuni effetti del volo spaziale umano a Terra e sono un valido strumento sperimentale riconosciuto internazionalmente. In particolare, in uno studio del 2005 il diametro dell’arteria femorale comune e superficiale risultavano diminuiti mentre il flusso sanguigno risultava invariato.
Altri esperimenti sono in programma sia su ISS che in simulazione a Terra. Tutti questi studi sono di grande interesse e la conferma di questi dati non può che portare a benefici sia alle missioni spaziali che alla medicina di tutti i giorni.
Per saperne di più:
- Leggi su The FASEB Journal l’articolo “Effects of spaceflight and ground recovery on mesenteric artery and vein constrictor properties in mice“, di Bradley J. Behnke, John N. Stabley, Danielle J. McCullough, Robert T. Davis, James M. Dominguez, Judy M. Muller-Delp e Michael D. Delp
(*) L’autore è Senior Advisor presso la Science and Application Division (HSO-US) del Directorate of Human Spaceflight and Operations dell’ESA, a Estec (NL)