«È qualcosa che non s’era mai visto prima. Mai, in nessun pianeta del Sistema solare». Leigh Fletcher, dell’Università di Oxford, è allibito. E con lui gli scienziati che da circa due anni stanno con gli occhi incollati ai dati provenienti dalla sonda spaziale Cassini, gioiello NASA-ESA-ASI, e da due fra i migliori telescopi terrestri al mondo – il Very Large Telescope dell’ESO, in Cile, e l’Infrared Telescope Facility della NASA, in cima al vulcano Mauna Kea, alle Hawaii. Ma cos’è che li lascia così increduli? Una tempesta. O meglio, le conseguenze di una tempesta, in corso nella stratosfera di Saturno da ormai due anni, e con strascichi per ora inspiegabili. Come la formazione di quantità ingiustificabili di etilene e un’impennata anomala della temperatura in alcune regioni dell’alta atmosfera del pianeta.
La storia ha inizio il 5 dicembre 2010. Da noi, qui nell’emisfero nord della Terra, era quasi inverno. Ma lassù su Saturno, dove le stagioni si avvicendano a ritmo assai più lento (un anno dura 30 dei nostri), nell’emisfero settentrionale è ancora primavera. Al periodo delle tempeste estive mancano ancora anni (il solstizio è atteso per il 2017), eppure quella che, in quel giorno di due anni fa, gli strumenti della sonda Cassini osservano prendere forma è una signora burrasca. Battezzata “la grande tempesta di primavera” (o “la grande tempesta del nord”, proprio qui su Media INAF), innesca un vortice di dimensioni spaventose, tale da superare, all’apice della sua grandezza, persino la grande macchia rossa di Giove. Un vortice all’interno del quale si verificano fenomeni estremi, a partire dai fulmini, diecimila volte più intensi di quelli terrestri.
Con il trascorrere dei mesi, la violenza degli elementi si placa, seppure non del tutto (la macchia saturnina dovrebbe sparire del tutto solo alla fine del 2013, prevedono gli scienziati). Ma le conseguenze che si lascia a terra, o meglio nell’alta atmosfera, sono ancora lì. E sollevano parecchi interrogativi. Per coglierle in tutta la loro portata, gli occhi non sono lo strumento adatto: occorre un termometro, o meglio una vista a raggi infrarossi, come quella dello strumento CIRS a bordo di Cassini: uno spettrometro composito a infrarossi, in grado non solo di prendere la temperatura ma anche di svelare la chimica del pianeta.
E il rapporto di CIRS ha dell’incredibile. La temperatura del vortice raggiunge picchi molto maggiori del previsto, fino a 83 gradi al di sopra di quella dell’atmosfera nei paraggi. Inoltre, isolate dall’ambiente circostante da una parete di venti che circolano in senso orario, vengono rilevate quantità enormi di gas come l’etilene e l’acetilene. «Il picco di temperatura è così estremo da non crederci, soprattutto in questa regione dell’atmosfera di Saturno, che è tipicamente molto stabile», dice Brigette Hesman, della University of Maryland. «Per avere sulla Terra un’escursione termica analoga, dovremmo passare dal pieno inverno di Fairbanks, in Alaska, alla piena estate del deserto del Mojave».
Per non parlare dell’etilene. È un gas inodore e incolore, disponibile sulla Terra sia da fonti naturali che artificiali, ma per nulla tipico di Saturno. Ebbene, la quantità rilevata dagli scienziati all’interno del vortice supera di 100 volte quella ritenuta possibile per il pianeta. I ricercatori si stanno ancora interrogando sulla sua origine, ma già hanno escluso che possa provenire da una grande riserva presente nel profondo dell’atmosfera. «Mai prima d’ora ci eravamo imbattuti nell’etilene su Saturno, dunque è stata una vera sorpresa», ammette il responsabile dello strumento CIRS, Michael Flasar, del Goddard Space Flight Center della NASA.
Insomma, il lavoro non mancherà. Da questi primi dati sono usciti due articoli (uno appena pubblicato su Icarus, il secondo uscirà il 20 novembre su ApJ), e già gli scienziati si fregano le mani sapendo che all’apice della stagione delle tempeste, nel 2017, Cassini sarà la sonda giusta al posto giusto, ancora in piena attività là attorno alla turbolenta atmosfera di Saturno.
Per saperne di più:
- Leggi su Icarus l’articolo “The origin and evolution of Saturn’s 2011–2012 stratospheric vortex“, di Leigh N. Fletchera et al.