Anche nell’Universo, ogni tanto viene il momento di fare un censimento. Certo però contare le stelle presenti nel cosmo sarebbe un troppo per qualunque ufficio statistico. Quello che si può fare è allora provare a contare le galassie più attive nella produzione di nuove stelle, misurarne la “fertilità” e magari calcolare come è cambiata nel corso della storia dell’Universo, per fare così qualche stima del loro contributo complessivo al numero di stelle presenti nel cosmo. È quello che hanno fatto i ricercatori del team della missione ESA Herschel, con un aiuto dal telescopio terrestre Keck situato alle Hawaai, in due articoli appena usciti su Astrophysical Journal. Herschel è una missione ESA che vede un fondamentale contributo di ricercatori italiani e dell’INAF, e infatti sono italiani diversi tra i coautori di questi due studi.
I due studi riguardano una survey di centinaia di galassie “starburst”, quelle in cui c’è più attività di formazione stellare: fino all’equivalente di diverse centinaia di masse solari ogni anno, contro una massa solare l’anno che è la media di natalità nella nostra galassia.
Queste galassie sono in realtà difficili da individuare in luce visibile, perché la grande luminosità associata alla nascita di nuove stelle è bilanciata dalle grandi quantità di gas e polveri presenti nei loro dintorni, che assorbono la maggior parte della luce visibile. In compenso, il modo in cui quelle polveri vengono riscaldate dalle stelle rende le galassie starburst particolarmente ben visibili in luce infrarossa, che è poi il mestiere di Herschel. In questo modo, il team del satellite ha potuto individuare 767 nuovi esemplari di queste galassie. “Alcune di esse hanno tassi di formazione stellare pari a diverse migliaia di masse solari l’anno, e sono quindi tra le galassie più brillanti in luce infrarossa mai scoperte” ha spiegato Caitlin Casey dell’Università delle Hawaii, primo autore delle ricerche.
Per capire meglio come le proprietà di queste galassie cambino nel corso del tempo, tuttavia, servivano anche informazioni sulla loro distanza. Quelle le hanno fornite i telescopi gemelli da 10 metri “Keck” a Mauna Kea, nelle isole Hawaii, grazie ai quali i ricercatori hanno ottenuti dati sul redhisft (lo spostamento verso il rosso delle righe spettrali delle galassie, dovuto alla velocità con cui si allontanano da noi, e che usiamo come indicatore della loro distanza).
La maggior parte di quelle 767 galassie ha un’età inferiore ai 10 miliardi di anni, e solo il 5 per cento ha redshift superiori, che indicano che la luce che riceviamo fu emessa quando l’Universo aveva fra gli 1 e i 3 miliardi di anni.
Su cosa abbia portato alla formazione di queste galassie super prolifiche durante le prime fasi di vita dell’Universo, esistono però ancora diverse teorie. Potrebbero essere dovuto alla collisione tra due galassie giovani, che avrebbe innescato una intensa ma breve fase di formazione stellare. Oppure il segreto potrebbe essere la maggiore disponibilità di gas su cui le galassie potevano contare quando l’Universo era ancora giovane. Ampliando enormemente il campione delle galassie da studiare, i due studi costituiscono un importante passo avanti verso la soluzione.
Per saperne di più:
- C. M. Casey et al., A Population of z>2 Far-Infrared Herschel-SPIRE selected Starbursts. Astrophysical Journal, 2012
- C. M. Casey et al. A Redshift Survey of Herschel Far-Infrared Selected Starbursts and Implications for Obscured Star Formation. Astrophysical Journal, 2012