Per ogni immagine una nuova domanda. Sembra ormai questo il destino della ricognizione satellitare a bassa quota, ricca di dettagli, che la sonda Dawn della NASA – frutto di una collaborazione nella quale l’ASI e l’INAF hanno avuto un ruolo di primissimo piano – ha intrapreso nei mesi scorsi attorno alla superficie dell’asteroide gigante Vesta. Lo stupore aumenta mano a mano che gli astrogeologi, chini sui monitor, analizzano la conformazione geologica del protopianeta. Ora è il turno delle gole che ne solcano i crateri. Illustrate ieri a San Francisco da Jennifer Scully, del team di Dawn, nel corso del meeting annuale della American Geophysical Union – incontro che proprio oggi chiude i battenti – le gole di Vesta ricordano quelle che segnano alcune regioni del nostro pianeta. Ma sulla loro origine ancora si brancola nel buio.
«Sulla Terra, conformazioni di questo genere – osservate in luoghi come il Meteor Crater, in Arizona – sono dovute all’azione erosiva dell’acqua allo stato liquido», dice il responsabile di Dawn Christopher Russell, di UCLA. «Quanto a cosa le abbia scavate su Marte, il dibattito è ancora aperto. Dobbiamo analizzare molto attentamente queste di Vesta, prima di arrivare a stabilirne in modo definitivo l’origine».
Due le tipologie di canali individuate dagli scienziati: alcuni mostrano le sembianze di strisce rettilinee, altri invece scavano tracce dall’andamento sinuoso che terminano in depositi a forma di lobo. «Le strisce rettilinee sono esempi da manuale dei flussi di materiale secco, come la sabbia, già osservati sulla Luna, e che ci aspettavamo di vedere anche su Vesta», spiega Scully, «ma le gole sinuose rappresentano una scoperta eccitante, inattesa, che ancora stiamo cercando di capire».