Il cielo dimenticato in un baule (Ricotta Editore) è la seconda opera per ragazzi realizzata dalla giornalista scientifica Gabriella Bernardi. Un racconto che assomiglia molto ad un catalogo storico. La giovane protagonista compie infatti un viaggio nella storia dell’astronomia attraverso la descrizione delle figure femminili che l’hanno contraddistinta. Una scelta che ha privilegiato le molte figure protagoniste di questa storia, piuttosto che soffermarsi sulle poche più note. Con quale obiettivo l’abbiamo chiesto all’autrice.
“Va detto che le astronome che ho inserito in questo libro per ragazzi sono già una selezione rispetto a quelle che avrebbero dovute esservi. Sono dieci anni che compio ricerche su questo argomento e il materiale fin qui raccolto è considerevole. Però il libro aveva ben più di un obiettivo: il principale era quello di far capire ai giovani lettori che il contributo femminile all’astronomia non è stato né episodico né trascurabile. Se mi fossi dedicato alle figure più importanti avrei potuto favorire un effetto Madame Curie, avrei potuto insomma far intendere che le donne astronome abbiano partecipato in modo sporadico e che le protagoniste lo fossero perché di eccezionale levatura. Inserirne invece molte dimostrava sia che il coinvolgimento non fosse sporadico ma anche come fossero paragonabili, come preparazione e capacità, ai loro colleghi uomini. Il secondo aspetto riguarda la scelta storica. Far comprendere, attraverso la descrizione delle astronome nei vari secoli, come sia evoluta l’astronomia”.
Le donne dedite all’astronomia e all’astrofisica in Italia sono maggioranza rispetto ai loro colleghi maschi. Eppure molte delle figure da lei descritte sono ai più sconosciute. Dov’è il problema?
“In effetti l’astronomia al femminile è maggiore nei paesi latini come Italia e Spagna, piuttosto che nei paesi anglosassoni. Però questa è la situazione attuale. Nel libro non vado oltre i primi del novecento e la ragione della scarsa notorietà di questi personaggi deriva almeno da due cause: il limitato accesso per le donne ad una istruzione superiore e che, in molti casi, l’apprendimento di queste scienziate dipendesse dalla presenza di parenti stretti, che finivano per oscurare il loro contributo. È il caso di Sophie Brahe, la cui capacità teorica e matematica fu inglobata dal nome del fratello Tycho, più portato alla parte sperimentale e osservativa. In questo senso è importante migliorare la conoscenza storica e scientifica di queste personalità per contrastare pregiudizi molto diffusi”.
Si è posta il problema che potesse essere un libro di genere?
“In parte si. Ma come giornalista scientifico il mio obiettivo è stato quello di impostare una ricerca da un punto di vista storico, interessandomi esclusivamente dei contributi femminili che hanno apportato astronome delle quali si sente poco parlare anche a livello di studi universitari”.