E’ uno dei grandi misteri dell’astronomia elencati lo scorso anno dalla rivista Science, una delle domande fondamentali a cui la scienza delle stelle deve ancora trovare una risposta. Che cosa ha causato la reionizzazione dell’Universo, rompendo i legami che tenevano insieme gli atomi di idrogeno nel gas che permeava l’Universo circa 300 000 anni dopo il Big Bang? Qualunque cosa sia stato, trasformando quel gas opaco ed elettricamente neutro in plasma ionizzato (fatto di elettroni e protoni) ha messo fine al “medio evo cosmico”, rendendo l’Universo trasparente e permettendoci oggi di vedere stelle e galassie lontane. In caso contrario, infatti, la loro luce sarebbe stata assorbita dal gas di idrogeno, che è il motivo per cui non riusciamo a studiare la radiazione elettromagnetica proveniente da quel periodo.
Le ultime osservazioni della campagna Hubble Ultra Deep Field 2012 (UDF12), appena presentati al meeting della American Astronomical Society a Long Beach, suggeriscono una soluzione: potrebbero essere state semplicemente le galassie, con le loro stelle in formazione, a fare il lavoro.
I ricercatori, guidati da Richard Ellis del California Institute of Technology, hanno puntato il telescopio spaziale Hubble su un singolo punto dell’Universo per 100 ore, usando un filtro speciale per rilevare anche le più deboli e lontane galassie. Così facendo avevano trovato sette nuove galassie con età tra i 380 e i 600 milioni di anni, nel bel mezzo del periodo in cui aveva luogo la reionizzazione. Hanno poi analizzato la loro luce per scoprire, come hanno appena raccontato ai colleghi, che sono composte di stelle sorprendentemente vecchie. “Sono stelle di seconda generazione” hanno spiegato al meeting”, che erano lì da almeno 100 milioni di anni”. Le stelle così vecchie non producono abbastanza radiazione ionizzante per spiegare quanto è successo al gas di idrogeno nell’Universo in quel periodo. Facendo però qualche calcolo basato sui modelli statistici di formazione e distribuzione delle galassie, i ricercatori sono arrivati alla conclusione che l’Universo profondo deve letteralmente pullulare di queste galassie deboli e praticamente invisibili, che sarebbero in realtà molte più di quelle brillanti che abbiamo studiato finora. E allora, se sono così tante e sono esistite per così tanto tempo, i conti tornano. La loro radiazione basterebbe a spiegare la reionizzazione dell’Universo. Senza bisogno di fare ricorso a spiegazioni più esotiche come le collisioni tra particelle di materia oscura. “Questo è un lieto fine” dice Ellis. “La reionizzazione è un processo normale, causato da cose che vediamo, e non dall’ennesima cosa oscura che non riusciamo a capire”.