Venere come una cometa. È durato solo poche ore, fra il 3 e il 4 agosto del 2010, ma il fenomeno osservato dagli strumenti a bordo della sonda ESA Venus Express ha lasciato gli scienziati esterrefatti: in un brevissimo arco di tempo, la coda di plasma della ionosfera di Venere è cresciuta dai 150-300 km abituali fino a oltre 15mila km.
Ma cos’è successo di speciale, quel giorno d’estate di due anni fa, per conferire una chioma così generosa al secondo pianeta del Sistema solare? Era un giorno d’incredibile bonaccia, nello spazio interplanetario. Una bonaccia come non se ne vedevano dal maggio del 1999, quando il vento solare praticamente sparì. Di norma, il flusso incessante di elettroni e protoni che soffia dalla nostra stella ha una densità attorno alle 5-10 particelle per centimetro cubo. In casi particolari, però, questa densità può subire crolli vertiginosi. Com’è accaduto, appunto, a inizio agosto del 2010. Quando, dopo un ciclo d’intense esplosioni di massa coronale, gli strumenti in orbita attorno alla Terra registrarono, per un’intera giornata, una densità del vento solare di appena 0.1 particelle per centimetro cubo.
Messi subito in allerta, il magnetometro e l’analizzatore di plasma (ASPERA-4) a bordo di Venus Express rilevavano nel frattempo un’analoga bonaccia anche attorno a Venere, dove la densità e la pressione del vento solare erano precipitate di circa 50 volte al di sotto del normale: rispettivamente, a 0.2 particelle per centimetro cubo e 0.1 nPa.
Ora, se per quanto riguarda la Terra le interazioni fra la ionosfera e il variare dell’attività solare sono ben note, quell’anomala situazione rappresentava un’opportunità unica per studiare cosa accade, invece, attorno a pianeti con un campo magnetico quasi inesistente, come appunto Venere. E ciò che accadde fu una sorpresa: la ionosfera osservabile sul lato notturno del pianeta, composta per lo più da un plasma di ioni d’ossigeno, si era estesa oltre ogni previsione, fino a raggiungere, appunto, i 15mila chilometri e oltre.
Come mai questo allungamento? «Pensiamo che la bassa pressione del vento solare, che si traduce in campi magnetici più deboli, renda più facile il fluire degli ioni dal lato diurno al lato notturno del pianeta», ipotizza Yong Wei, del Max Planck Institute for Solar System Research di Katlenburg-Lindau, primo autore di uno studio pubblicato su Planetary and Space Science. Certo, la bassa intensità del vento solare fa anche sì che il flusso venga rallentato, ma quest’effetto passa in secondo piano rispetto alla maggior facilità con cui, grazie al ridursi dell’azione erosiva sull’alta atmosfera, il plasma fluisce da un emisfero all’altro. Il risultato complessivo è, appunto, un aumento del volume della ionosfera sul lato notturno del pianeta. Ecco dunque spiegata l’enorme coda a forma di lacrima.
C’era però un’altra sorpresa che attendeva al varco gli scienziati. Terminata la fase di bonaccia, al riprendere dell’attività solare, la pressione del vento sull’alta atmosfera risale rapidamente. E questo contraccolpo fa sì che la coda formatasi nelle ore precedenti si stacchi parzialmente dal proprio pianeta, dando origine a una bolla errante nello spazio interplanetario. Fenomeno, anche questo, osservato in occasione di quel giorno d’agosto del 2010.
Per saperne di più:
- Leggi su Planetary and Space Science l’articolo “A teardrop-shaped ionosphere at Venus in tenuous solar wind“, di Y. Weia, M. Fraenza, E. Dubinina, A.J. Coatesb, T.L. Zhangc, W. Wand, L. Fenge, A. Angsmanna, A. Opitzf, J. Wocha, S. Barabashg e R. Lunding
- Leggi la press-release ESA