Per i ricercatori che studiano i processi di formazione dei sistemi planetari e, non ultima, la storia del nostro Sistema solare, TW Hydrae è sicuramente il laboratorio naturale più promettente. Attorno a quella stella, grande all’incirca come il Sole e distante appena 176 anni luce, si trova un disco protoplanetario, ricco di gas e polveri dove piccoli granelli di ghiaccio ‘sporco’ si stanno ammassando per formare oggetti sempre più grandi e, magari, anche pianeti. Un po’ come avere una macchina del tempo e poter seguire oggi qualcosa di molto simile a quello che avvenne circa quattro miliardi di anni fa, quando prese forma il nostro Sistema solare.
Tra tutti i sistemi planetari in formazione, quello di TW Hydrae è il più vicino a noi e per questo il più studiato in assoluto. Nonostante la sua distanza relativamente piccola in termini astronomici, gli strumenti attuali non ci consentono ancora di ‘vedere’ il disco, magari come una semplice macchiolina attorno alla stella. In attesa di strumenti di nuova generazione, oggi possiamo solo intuire la sua presenza analizzando la luce proveniente da TW Hydrae e confrontando le misure fatte a differenti lunghezze d’onda con le predizioni dei modelli teorici. Predizioni che finora erano molto incerte, soprattutto perché una delle informazioni fondamentali, ossia la massa complessiva dell’idrogeno molecolare contenuto nel disco era nota con un’approssimazione assai grande: i risultati davano infatti un intervallo compreso tra 0,5 e 63 masse gioviane. Conoscere con maggior precisione questo parametro è fondamentale per prevedere quanti pianeti possono formarsi e quale sia la loro natura.
Un deciso miglioramento nella stima di questo parametro arriva da un lavoro guidato da Edwin Bergin dell’Università del Michigan, pubblicato nell’ultimo numero della rivista Nature e basato sulle osservazioni del disco di TW Hydrae con il telescopio spaziale dell’ESA Herschel. L’analisi della radiazione infrarossa prodotta dal sistema protoplanetario con lo strumento PACS (Photodetector Array Camera and Spectrometer) ha permesso di rivelare l’emissione di una particolare molecola composta da un atomo di idrogeno e uno di deuterio (il deuteruro di idrogeno, HD). Una sorta di gemella ‘grassa’ della semplice molecola di idrogeno, poiché rispetto a quest’ultima possiede un neutrone in più. Combinando questa misura con quelle già a disposizione, i ricercatori sono così giunti a porre un limite inferiore sulla massa del disco protoplanetario, che è pari a 52 masse gioviane, riducendone quindi di ben dieci volte l’incertezza e confermando che lì ci sono le condizioni per la nascita di nuovi pianeti.
“Questo lavoro apre una nuova finestra osservativa per lo studio dei dischi protoplanetari associati a stelle di tipo solare” commenta Claudio Codella, dell’INAF-Osservatorio Astrofisico di Arcetri, coinvolto in ricerche analoghe con i dati raccolti da Herschel. “Un disco protoplanetario è il luogo dove si formano i pianeti, e lo studio della loro struttura chimico-fisica è fondamentale per la comprensione della formazione del nostro Sistema solare. Uno dei problemi principali è derivare la massa dei dischi. Una possibilità è arrivarci stimando prima la massa della polvere e poi applicare un fattore di correzione che nel mezzo interstellare è solitamente un rapporto tra gas e polveri di 100 a 1. Il problema in questo caso è che i modelli teorici ci dicono che questo rapporto varia nel tempo seguendo l’evoluzione dei dischi.
In teoria, la cosa migliore sarebbe osservare emissione nell’infrarosso dovuta all’idrogeno molecolare (H2) che, come noto, è la molecola più abbondante nello spazio. All’atto pratico però, possiamo dire di essere ciechi alla gran parte dell’H2 che risiede nei dischi, in quanto emette radiazione negli strati interni, che la riassorbono quasi totalmente. Un problema simile si può associare all’emissione dovuta a transizioni del CO (la seconda specie molecolare più abbondante nel cosmo) che permette di tracciare solo le regioni esterne del disco. Tutte queste problematiche hanno portato a notevoli discrepanze nelle misure della massa del disco. L’osservazione dell’HD alla lunghezza d’onda di 112 micron (milionesimi di metro) ottenuta da Herschel, è associata a un composto chimico la cui emissione è proporzionale alla massa del disco che sta tracciando. Purtroppo la risoluzione spettrale di PACS non permette di risolvere il profilo della riga, impedendone uno studio cinematico. Un ulteriore passo avanti sarà rappresentato da future missioni (per esempio SPICA), che permetteranno di aumentare considerevolmente la risoluzione in velocità dell’emissione osservata”.