Cosa c’è di più semplice d’un buco nero? È un oggetto talmente uniforme che descriverlo dovrebbe essere una passeggiata. Ma se il buco nero in questione è uno di quelli supermassicci, cuore e motore della galassia che lo ospita, la faccenda si fa assai più complessa. Le sue interazioni con l’ambiente circostante – o meglio, di cui si circonda – sono infatti talmente intricate da portare a un vero e proprio ecosistema. Un ecosistema del quale Francesco Tombesi, ricercatore alla NASA, e il team internazionale da lui guidato – nel quale figurano anche due ricercatori dell’INAF: Massimo Cappi dello IASF Bologna e Valentina Braito dell’Osservatorio astronomico di Brera – stanno poco a poco svelando alcuni meccanismi rimasti a lungo oscuri. L’anno scorso toccò agli UFO, acronimo per ultra-fast outflows, dei quali abbiamo reso conto qui su Media INAF. Oggi, con un articolo uscito su Monthly Notices, è il turno dei warm absorbers, strati di gas ionizzato presenti fin nelle regioni più periferiche della galassia ospitante.
Ciò che Tombesi e colleghi hanno scoperto è che ultra-fast outflows e warm absorbers, per quanto in apparenza diversissimi e distanti fra loro migliaia di anni luce, sono manifestazioni di uno stesso fenomeno: il vento di materia proveniente dal buco nero centrale. Vento sul quale lo stesso buco nero esercita la propria influenza lungo un intervallo spaziale estremamente ampio: fino a otto ordini di grandezza, infatti, separano la distanza – rispetto al buco nero – dei vicinissimi ultra-fast outflows e dei remoti warm absorbers. «È un po’ come dire che il battito d’ali di una farfalla è in grado di provocare un uragano dall’altra parte del mondo», dice Tombesi. Solo che qui il “mondo” è grande quanto un’intera galassia.
L’esistenza dei warm absorbers, che potremmo tradurre come “assorbitori tiepidi” (il nome è dovuto a ciò che di essi gli scienziati riescono a osservare, ovvero le righe d’assorbimento), è nota da tempo agli astrofisici delle alte energie. Rispetto agli ultra-fast outflows, componenti altamente ionizzate con velocità prossime a un terzo di quella della luce, i warm absorbers sono decisamente più moderati: pur essendo anch’essi costituiti da plasma, la loro velocità è nell’ordine di qualche centinaio di km al secondo, e anche quanto a temperatura e livello di ionizzazione i valori in gioco sono assai meno estremi. Fino a oggi, però, nessuno aveva un’idea chiara della loro natura e della loro dinamica. Per sollevare il velo d’incertezza che li avvolgeva, Tombesi e il team da lui guidato hanno preso in esame lo stesso campione di AGN (galassie a nucleo attivo) che aveva loro permesso d’identificare gli UFO, e ne hanno incrociato le caratteristiche con i dati raccolti dagli strumenti a più alta risoluzione energetica fra quelli a bordo dei telescopi spaziali XMM-Newton e Chandra.
«Così facendo, siamo riusciti per la prima volta a unificare i diversi assorbitori, osservati negli spettri X di vari AGN, come parte dello stesso vento su larga scala osservato a diverse distanze lungo la linea di vista, dalle immediate vicinanze del buco nero supermassiccio centrale fino ai bordi della galassia ospite, a distanze dell’ordine delle migliaia di parsec», spiega Tombesi. «Abbiamo inoltre avuto la conferma che questi venti, e in particolare gli UFO, sono in effetti così potenti da poter esercitare un effetto di feedback sulle galassie che li ospitano. E, quindi, d’influenzarne l’evoluzione».
Per saperne di più:
- Leggi l’articolo “Unification of X-ray winds in Seyfert galaxies: from ultra-fast outflows to warm absorbers“, di F. Tombesi, M. Cappi, J. N. Reeves, R. S. Nemmen, V. Braito, M. Gaspari e C. S. Reynolds
- Leggi su Media INAF l’articolo “Dai buchi neri sgorgano gli UFO“
- Leggi su Media INAF l’articolo “UFO, getti volanti identificati“
Guarda su INAF-TV l’intervista a Francesco Tombesi: