Quanto può essere importante conoscere la distanza in linea d’aria tra Roma e Milano con un’incertezza di qualche chilometro? Non molta in realtà, dato che oggi grazie al sistema GPS possiamo ottenere questo valore con uno scarto di solo qualche decina di metri. Ma se spostiamo la nostra attenzione alla distanza delle galassie, e manteniamo lo stesso grado di accuratezza nella misura di in oggetto celeste che dista quasi duecentomila anni luce, tutto cambia e acquista risvolti decisivi addirittura per conoscere con più sicurezza le dimensioni e l’età del nostro universo. E’ proprio questo che ha fatto un gruppo internazionale di ricercatori a cui partecipano due astronomi italiani associati INAF: misurare con una precisione mai raggiunta la distanza della Grande Nube di Magellano (Large Magellanic Cloud, LMC), la seconda galassia più vicina alla nostra. Il valore che emerge dallo studio, pari a 162.000 anni luce, è in accordo con stime simili effettuate da altri gruppi di ricerca, ma il principale vantaggio della nuova misura è quello di essere caratterizzata da un livello di incertezza molto piccolo, pari solo al due per cento, ossia meno della metà della migliore stima effettuata in precedenza. Questa misura super precisa è fondamentale per astronomi e cosmologi in quanto la distanza della Grande Nube di Magellano è il primo ‘gradino’ della ‘scala delle distanze cosmiche’. Conoscere con precisione questo valore significa ridurre sensibilmente l’errore sulla distanza di oggetti celesti assai lontani e, quindi, riuscire a stimare più accuratamente, tramite la costante di Hubble, la velocità di espansione e l’età dell’universo.
È stato un lavoro lungo e laborioso quello del team, che ha passato al setaccio la sterminata mole di dati di quattordici anni di osservazioni condotte nell’ambito del progetto OGLE (Optical Gravitational Lensing Experiment). Oltre 35 milioni di stelle contenute nel database sono state controllate, permettendo di individuare dodici sistemi stellari particolari, ovvero del tipo binario ad eclisse, dei quali otto sono stati scelti per ulteriori osservazioni con lo spettrografo MIKE installato al telescopio Magellan Clay all’osservatorio Las Campanas in Cile e con lo spettrografo HARPS operativo presso il telescopio da 3,6 metri dell’ESO a La Silla, sempre in Cile. Un ulteriore monitoraggio durato ben otto anni. Ma l’impegno è stato finalmente ripagato.
“Essere riusciti a individuare e a misurare i due parametri fondamentali di questi sistemi, ovvero le loro variazioni di luminosità e velocità radiale, ci ha permesso di ottenere una distanza molto precisa e soprattutto non basata su assunzioni teoriche sulle loro proprietà e senza l’ausilio di un modello matematico della struttura geometrica della galassia che li ospita” dice Giuseppe Bono, dell’Università di Roma “Tor Vergata” e associato INAF che insieme al suo collega Pier Giorgio Prada Moroni, dell’Università di Pisa e anch’egli associato INAF, ha partecipato allo studio. “Poiché la Grande Nube di Magellano è così vicina a noi, è stata da sempre oggetto di misure di distanza con i più svariati metodi e se ne contano finora svariate centinaia. Siamo però davvero soddisfatti di essere riusciti ad ottenere un valore così affidabile e preciso, con un’incertezza solo del due per cento, che è meno della metà della migliore tra tutte le stime fatte in precedenza”.
Grazie a questo lavoro si prefigura un sensibile miglioramento della stima anche della costante di Hubble, uno dei parametri cosmologici fondamentali che descrivono il processo di espansione dell’universo e, di conseguenza, una stima indipendente della sua età. “Sfruttando questa misura, saremo in grado di ottenere il valore della costante di Hubble con una precisione del 2 o 3 per cento, mentre oggi è del 5-10 per cento” continua Bono. “Potremo così conoscere meglio come sta evolvendo il nostro universo e quindi, cosa altrettanto importante, ricavare con maggiore accuratezza la stima della sua età che potrà essere confrontata con le stime di età degli ammassi globulari ”.
Per saperne di più:
Il comunicato stampa INAF
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