Dove sarà aperta la prima finestra sulla “nuova fisica”, quella che guarda oltre il modello standard? Quella che spiegherà cos’è la materia oscura, perché la materia domini sull’antimateria, cosa c’entri la forza di gravità con le altre forze fondamentali? Tutto fa pensare che se quelle scoperte arriveranno mai (e ci auguriamo di sì), arriveranno da Ginevra e dal suo Large Hadron Collider, il più grande acceleratore di particelle mai costruito. E che la città sui monti a cavallo tra Francia e Svizzera sia destinata a restare la capitale della fisica delle particelle ancora per molto tempo. Anche perché la concorrenza non è poi tanta, e questo non è affatto un bene.
Cattive notizie dagli USA…
Gli Stati Uniti d’America, un tempo la “grande potenza” della fisica degli acceleratori, sembrano avviati a uscire da questo campo di ricerca. Tanto che pochi giorni fa un articolo del New York Times ha raccolto le preoccupazioni di molti fisici statunitensi, che temono di essere “lasciati indietro” nella corsa alla nuova fisica. Una tendenza iniziata nei primi anni Novanta con l’abbandono del progetto del Superconducting Super Collider, che avrebbe dovuto diventare di gran lunga il più potente acceleratore del particelle (si parlava addirittura di 40 TeV, contro i 14 che avrà LHC a pieno regime) e che cadde invece vittima di un periodo di austerity seguito alla presidenza di Bush padre. Proseguita con lo shut down del Tevatron nel 2011, il glorioso acceleratore del Fermilab che ha lasciato i fisici delle alte energie americani orfani di una macchina in grado di competere con Ginevra. E confermata dall’assenza all’orizzonte di progetti per costruire in USA un nuovo accelaretore con la potenza necessaria a guardare oltre al modello standard. Nel frattempo, il Giappone pensa di destinare una parte dei 120 miliardi stanziati per la ricostruzione post-Fukushima a un nuovo superacceleratore, l’International Linear Collider (sarebbe un acceleratore di tipo diverso, lineare e non circolare, che lavorerebbe a potenza minore di LHC ma potrebber raggiungere maggiore precisione nelle misure).
Certo, gli USA hanno investito pesantemente in LHC e hanno contribuito in forze con i loro ricercatori (non a caso il portavoce di CMS è lo statunitense Joe Incandela). Ma il loro status di “osservatori” nel CERN scade nel 2017, e con la crisi che corre di sborsare i 250 milioni di dollari l’anno richiesti per diventare full member non se ne parla.
“Il nostro problema è che tanto Europa quanto Asia stanno contemplando o hanno già fatto investimenti da almeno 10 miliardi di dollari nella fisica delle particelle, somme che sono fuori questione al momento negli Stati Uniti” ha spiegato al New York Times Jim Siegrist, codirettore per la fisica delle alte energie del Department of Energy. “Restare competitivi per noi sarà un problema”. Ma sarebbe un problema anche per il CERN, e per tutta la fisica mondiale, perdere il contributo della scuola fisica americana e della sua tecnologia, che ha letteralmente fatto la storia della fisica degli acceleratori (per non parlare della fisica del neutrino, che meriterebbe un capitolo a parte). Tanto che Rolf-Dieter Huer, il Direttore Generale del CERN, sta lavorando per una soluzione di compromesso: far entrare gli USA come membro associato. Ma sono sempre 25 milioni di dollari l’anno, e con i tagli appena subiti dalla spesa pubblica americana nemmeno questa prospettiva è così facile.
…e buone notizie dall’Europa
Nel frattempo, comunque, dal CERN continuano ad arrivare notizie rassicuranti. Mentre i tecnici lavorano su LHC, spento per l’upgrade che lo porterà a raddoppiare la sua potenza nel 2015, i fisici continuano ad analizzare i dati sul bosone “nuovo arrivato”. E sembra che sia proprio lui, quello di Higgs. La sicurezza vera e propria non ce l’abbiamo ancora, è appesa a un numerino chiamato spin che per i fisici di Ginevra stanno ancora finendo di misurare. Ma la particelle di cui lo scorso luglio i responsabili degli esperimenti ATLAS e CMS hanno confermato la scoperta assomiglia sempre più al bosone che cinquant’anni fa il fisico britannico Peter Higgs aveva postulato, nel tentativo di spiegare il meccanismo che conferisce alle altre particelle la loro massa. La “quasi-conferma” è arrivata il 6 marzo durante la conferenza Moriond a La Thuile, in Val d’Aosta.
Fin dall’annuncio del luglio scorso, il punto interrogativo rimasto su quella nuova particella (che per quanto si vedeva allora, poteva essere il bosone di Higgs o qualcosa di molto simile ma che costringerebbe comunque a rivedere la teoria) riguarda soprattutto quella proprietà fondamentale delle particelle chiamata spin. Assieme a carica elettrica e massa è una delle proprietà che distinguono le particelle le une dalle altre: i fermioni, insomma le particelle di cui è fatta la materia (quark, neutrini, elettroni) hanno spin pari a ½. I bosoni, quelle che veicolano le forze (come fotoni e gluoni) hanno invece spin intero, per la precisione (in tutte le particelle scoperte finora) di valore 1. Ma il bosone immaginato da Higgs è una particella un po’ particolare, il cui spin dovrebbe avere valore 0, previsto sulla carta ma mai osservato. Ora, tutte le analisi fatte finora sui dati di LHC portano proprio a concludere che la particella appena scoperta abbia spin pari a 0. Ma la statistica non è ancora abbastanza solida per escludere l’altra ipotesi in campo: che abbia spin 2, altro valore per ora solo ipotetico (è il valore che ci si aspetterebbe dal gravitone, la particella responsabile del campo gravitazionale, ammesso che esista) e che costringerebbe a rimettere mano alla teoria perché farebbe di questa nuova particella qualcosa di molto diverso da quella descritta da Higgs.
“Finché lo spin della particella non sarà determinato con certezza,” dice Sergio Bertolucci, direttore per la ricerca al CERN” dovremo continuare a parlare di particella “simile” al bosone di Higgs. Potremo chiamarla “di Higgs”, solo quando sapremo con certezza che il suo spin è zero”.