Sfornavano stelle al ritmo di mille all’anno. Roba da far impallidire la nostra quieta Via Lattea, che nello stesso intervallo, di astri, ne dà alla luce sì e no uno soltanto. Sono le galassie primordiali osservate da ALMA, la distesa di radiotelescopi millimetrici e submillimetrici appena entrati in funzione nel deserto di Atacama, in Cile. Galassie che risalgono a quando l’Universo spegneva il suo primo miliardo di candeline, praticamente un neonato. Eppure già iperattive e prolifiche in modo prodigioso.
Per ALMA, inaugurato ufficialmente proprio oggi, non poteva esserci un battesimo più felice. I risultati dell’osservazione, in uscita oggi con una serie di articoli su Nature e su The Astrophysical Journal, dimostrano in modo inequivocabile le enormi potenzialità delle sue antenne, che al momento sono “solo” 16 ma destinate a raggiungere nel giro di pochi anni quota 66 .
Ma torniamo alla scoperta di queste galassie e delle loro caratteristiche, perché precocità e prolificità non sono le sole sorprese. Il lavoro – coordinato da un ricercatore postdoc del Caltech, Joaquin Vieira – è stato condotto in tandem con il South Pole Telescope, il telescopio antartico della National Science Foundation, al quale è spettato il ruolo talent scout. È stato infatti il suo specchio da 10 metri a individuare le candidate più promettenti, quelle il cui bagliore remoto risultava amplificato da un secondo “telescopio”, questa volta messo a disposizione dalla natura stessa: il lensing gravitazionale, ovvero l’effetto d’ingrandimento (fino a 22 volte) introdotto dalla curvatura dello spazio dovuta alla presenza, a metà strada fra le galassie e noi che le osserviamo, di enormi addensamenti di materia, per lo più oscura.
Poi la palla è passata alle antenne di ALMA, che ne hanno analizzato l’emissione a microonde, dunque a lunghezze d’onda millimetriche e submillimetriche. In questo modo, sono riuscite a determinare con una precisione da record la distanza di 18 di queste galassie, e lo hanno fatto con tempi eccezionalmente rapidi, come spiega Axel Weiss, del Max-Planck-Institut für Radioastronomie di Bonn: «Grazie alla sensibilità e all’ampiezza della gamma di lunghezze d’onda di ALMA, le nostre misure hanno richiesto appena una manciata di minuti per ogni galassia – una velocità circa un centinaio di volte superiore rispetto al passato».
Oltre alla distanza – e dunque all’antichità – estrema e al ritmo di formazione stellare da capogiro, dallo spettro d’emissione di una delle galassie prese in esame è emersa anche, inconfondibile, la firma di molecole di H2O: le tracce più antiche, a oggi conosciute, della presenza di acqua nell’intero Universo.
Per saperne di più:
- Leggi su Nature l’articolo “Dusty starburst galaxies in the early Universe as revealed by gravitational lensing“, di J. D. Vieira et al.