Sono passati più di quattro secoli da quando nel 1604 Keplero identificò un nuovo astro nel cielo, apparso all’improvviso e brillante più di tutte le altre stelle, scomparso poi alla vista dopo alcuni mesi. Quell’evento, inspiegabile all’epoca, era associato all’esplosione di una supernova, l’ultima che sia avvenuta nella nostra Galassia. Un fenomeno che, grazie ai più avanzati strumenti a disposizione degli astrofisici, ha ancora oggi molto da rivelare. Gli ultimi studi condotti su quel che rimane di questa gigantesca esplosione, ovvero una nube di gas e polveri in espansione, condotti con le osservazioni nei raggi X del telescopio spaziale Chandra della NASA hanno INFATTI permesso di ricostruire come si sia prodotta la supernova di Keplero. Secondo Mark Burkley, della North Carolina State University, che ha guidato il team coinvolto nello studio, l’esplosione è stata innescata in un sistema stellare binario in cui un astro era una nana bianca e l’altro una gigante rossa, dando vita a quella che viene chiamata una Supernova di tipo Ia. Viene così confermato uno dei due possibili scenari oggi più accreditati per l’innesco di questi fenomeni, scartando invece la possibilità che l’esplosione sia avvenuta in seguito alla fusione di due nane bianche. “Non possiamo certo dire che sia così per tutte le supernovae di tipo Ia, ma la nostra analisi per quella di Keplero ci fa ritenere che sia stata innescata da una nana bianca che ha strappato materia da una compagna” dice Burkley. “Capire come avvengano queste esplosioni è fondamentale per migliorare i processi per la misura delle distanze cosmiche in cui vengono utilizzati questi oggetti celesti”.
I ricercatori sono giunti a queste conclusioni analizzando le immagini nei raggi X di Chandra in cui si evidenzia una struttura discoidale in prossimità del centro del resto della supernova, interpretata come il risultato della collisione tra il materiale espulso dalla supernova e quello presente attorno alla gigante rossa prima dell’esplosione, anche se non viene esclusa la possibilità che quello osservato possa essere semplicemente il pulviscolo associato all’esplosione. A rafforzare però la convinzione che questo disco sia legato alla compagna della stella esplosa ci sono due ulteriori indizi: il primo è dato dalla presenza in esso di tracce significative di magnesio, elemento chimico che non viene prodotto in maniera così massiccia in un evento di tipo Ia. Il secondo è che una struttura molto simile per estensione e posizione e riconducibile a brandelli di stella espulsi da venti stellari piuttosto che veri e propri resti di supernova sia stata osservata da un altro telescopio spaziale, Spitzer, ma questa volta nell’infrarosso.
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Insomma, mistero risolto per l’origine della supernova di Keplero? Tutt’altro. Questo studio rafforza da un lato l’ipotesi che per le supernovae di tipo Ia possano esistere differenti processi d’innesco e dall’altro solleva il dubbio che la stessa supernova presa in esame sia tutt’altro che ‘standard’. Altre simulazioni e analisi di dati raccolti da Chandra suggerirebbero infatti che quella del 1604 è stata un’esplosione di supernova di eccezionale potenza. “Potremmo capire quanto di normale o di anormale ci sia nella supernova di Keplero se potessimo scoprire e analizzare radiazione prodotta nell’esplosione che sia stata riflessa da qualche nube interstellare e che abbia impiegato qualche centinaio di anni per tornare sulla Terra: un’eco di luce” sottolinea Stephen Reynolds, coautore dello studio recentemente pubblicato online sul sito della rivista Astrophysical Journal.