Se dovessimo paragonare Mercurio, il pianeta più interno del sistema solare, ad un frutto, dovremmo scegliere l’arancia: il suo enorme nucleo ricco di ferro sarebbe la polpa, mentre la sottile crosta e il mantello ricordano un po’ la buccia di quel frutto. Questo ha lasciato perplessi gli astronomi per decenni: i modelli di formazione planetaria convenzionali non spiegano come possa crearsi un nucleo così grande. La Terra e gli altri pianeti terrestri, infatti, hanno nuclei più piccoli, che somigliano più che altro al nocciolo di una pesca.
Gli astronomi hanno ipotizzato che Mercurio potrebbe aver subito un impatto enorme che lo ha spogliato di un mantello di silicati che doveva avere in precedenza. Oppure, i suoi strati esterni sarebbero evaporati a causa dal calore del Sole. Ma negli ultimi anni, la sonda Messenger della NASA ha trovato elementi volatili come il potassio nella crosta del pianeta. In caso di impatto o di evaporazione, questi elementi avrebbero dovuto scomparire.
Nel frattempo, il mistero si è infittito. Recenti osservazioni di pianeti extrasolari suggeriscono che la struttura di Mercurio potrebbe non essere così rara: i due esopianeti più piccoli con densità minore e noti come Kepler-10b e Corot-7b, sono anche molto più densi del previsto, il che suggerisce che condividono la struttura “ad arancia” di Mercurio. E anche questi pianeti, come Mercurio, risiedono vicino al loro sole. Ora, una nuova teoria potrebbe spiegare il mistero.
Quando le molecole di gas si scontrano con un granello di polvere calda accumulano calore, rimbalzando via più velocemente rispetto a quando si avvicinavano. Gerard Wurm dell’Università di Duisburg-Essen in Germania e colleghi hanno calcolato come questo effetto inciderebbe sui granelli di polvere che turbinano intorno a una stella.
Poiché i granelli metallici conducono il calore, vengono riscaldati uniformemente. Come risultato, i granelli saranno spinti da tutti i lati e quindi non si allontaneranno dalla stella. Altri granelli isolati come i silicati meno densi, invece, hanno un lato caldo rivolto al sole, e le molecole di gas su quel lato forniscono maggiore spinta rispetto al lato freddo.
Secondo Wurm e colleghi, l’effetto nel tempo sarà quello di separare i granelli in un sistema solare nascente: i metalli rimangono vicino alla stella, mentre le particelle meno dense vengono spinte più lontano. Questo processo potrebbe spiegare perché pianeti interni come Mercurio, Kepler-10b e Corot-7b sono così densi.
E’ l’effetto di fotoforesi, descritto in fisica già più di un secolo fa. Wurm spera ora di dimostrare la sua teoria con un esperimento a Terra, rilasciando una capsula sigillata contenente metalli e polvere da una torre alta 110 metri a Brema, in Germania, per simulare l’assenza di peso nello spazio. Gli scienziati monitoreranno la capsula durante la caduta con un laser a infrarossi, per verificare se la polvere e i metalli inizieranno a separarsi come previsto.