«L’età della pietra non finì perché l’uomo rimase senza pietre e l’età del ferro non finì perché rimase senza ferro … Finirono perché l’uomo seppe escogitare qualcosa di nuovo, di meglio».
Così scriveva qualche anno fa l’economista indiano Indur Goklany. La storia dell’umanità è costantemente segnata dal progresso e da innovazione continua in grado di cambiare la società in tutti i suoi aspetti. In questo momento storico di crisi strutturale dell’economia, l’innovazione rappresenta una strategia fondamentale per far ripartire le economie mature verso una possibile ripresa e per cercare di lasciarsi alle spalle il difficile momento di crisi che sta incidendo negativamente sugli investimenti e sulla competitività.
La Commissione Europea ha recentemente pubblicato l’”Innovation Union Scoreboard 2013” che mette a confronto l’indice di innovazione dei diversi Paesi europei tra loro e con i principali Paesi del mondo industrializzato.
Questo indice è una sintesi di 24 macro-indicatori che misurano le potenzialità delle risorse umane, l’attrattività del sistema della ricerca, il supporto finanziario, gli investimenti da parte delle Imprese, la capacità di generare imprenditori, il numero e l’impatto economico dei brevetti… L’insieme di tutti questi elementi determina la capacità di un Paese ad essere più o meno innovativo e competitivo nello scenario internazionale. In questo rapporto l’Europa è suddivisa in quattro gruppi:
- Gli “Innovation Leaders”, il gruppo dei quattro Paesi che traina l’innovazione in Europa: Svezia, Germania, Danimarca, Finlandia.
- Gli “Innovation Followers”, quelli che seguono, un folto gruppo di Paesi piuttosto eterogenei che marciano a un buon livello ma sono lontani dai leaders: dalla Francia all’Estonia, dalla Slovenia all’Austria, da Cipro alla Gran Bretagna.
- I “Moderate Innovators”, che arrancano in posizioni di retroguardia e non riescono a stare al passo con il resto d’Europa: l’Italia appartiene a questo gruppo insieme alla Lituania, l’Ungheria, il Portogallo, la Spagna, la Grecia.
- I “Modest Innovators”, che sono alle spalle di tutti e hanno indici di innovazione troppo bassi per riuscire a stare al passo con il resto d’Europa: Bulgaria, Romania, Lettonia, Polonia (ma quest’ultima sta avendo un forte rilancio e ne sentiremo senz’altro parlare nei prossimi anni)
L’Italia si colloca ben al di sotto della media europea nell’indice di innovazione, nonostante le sempre e forse fin troppo decantate caratteristiche di creatività che tipicamente sono riconosciute al nostro Belpaese. Non bisogna, infatti, confondere creatività e innovazione. David Gurteen, un consulente inglese, definisce la creatività come la “generazione di idee” mentre l’innovazione consiste nel trasformare queste idee in azioni attraverso la selezione, il miglioramento e l’implementazione. L’innovazione è quindi un processo complesso che richiede capacità non solo creative ma anche ingegneristiche di progettazione, realizzazione, sviluppo del mercato.
Uno dei fattori critici è evidenziato dal numero dei brevetti che in Italia sono proposti annualmente alla registrazione. Negli ultimi venti anni questo numero si è gradualmente assottigliato e questo è un tipico sintomo di scarsa capacità di capitalizzazione delle innovazioni realizzate. E le imprese hanno probabilmente la parte maggiore di responsabilità in questa continua perdita di posizioni.
Tutta l’Europa è da considerarsi periferica rispetto ai processi di innovazione. Lo stesso studio della Commissione Europea mette in evidenza che l’indice di innovazione calcolato per gli altri Paesi del mondo colloca l’Europa a 27 Paesi ben lontana da Sud Corea, Stati Uniti, Giappone. Gli sforzi organizzativi e finanziari che stanno facendo Cina, India, Brasile e Sud Africa, pur avendo oggi indici di innovazione più bassi dell’Europa, fanno pensare che nel giro di pochi anni questi si inseriranno a pieno titolo tra le nuove potenze economiche del pianeta.
Le quattro leve per far ripartire l’Italia sono, a mio parere, la scuola, l’università, la ricerca e l’innovazione. Questi quattro fattori, opportunamente combinati, sono in grado di cambiare la situazione di stallo nella quale il Paese si trova. In un momento critico come questo, occorre però una forte determinazione politica nell’investire rilevanti risorse economiche in iniziative che non avranno riscontro immediato ma che riusciranno a determinare il successo nei prossimi venti o trent’anni. Ma quali alternative abbiamo? Dobbiamo avere il coraggio per ricostruire dalle fondamenta un Paese che per troppo tempo non ha investito e valorizzato le proprie risorse fondamentali.
Far ripartire la scuola, l’università, la ricerca e l’innovazione è l’unico modo per far ripartire l’Italia.