Nell’Universo i magnetar sono tra gli oggetti più estremi che si conoscano. Resti di stelle esplose come supernovae, ovvero nuclei ultra densi di materia pari a una volta e mezza quella del Sole, concentrata in una sfera del diametro di appena una ventina di chilometri in rapida rotazione, che talvolta emettono violente e rapide emissioni di raggi X e gamma. Un comportamento che per gli scienziati può essere dovuto alla presenza di un campo magnetico decine o addirittura centinaia di volte maggiore di quello tipico di una stella di neutroni, già di per sé elevatissimo. E proprio il loro nome, contrazione delle parole inglesi Magnetic e Star, sta a sottolineare questa loro caratteristica. Tra le rare sorgenti di questo tipo – ad oggi se ne contano appena una ventina – c’è anche SGR 0418+5729. Scoperta nel 2009 grazie al satellite Fermi della NASA, si trova nella nostra Galassia, a circa 6.500 anni luce da noi in direzione della costellazione della Giraffa. Tuttavia già pochi mesi dopo la sua individuazione, un gruppo di ricercatori tra cui alcuni dell’INAF iniziò a sospettare che qualcosa in SGR 0418 (da qui in poi la chiameremo così per brevità) non fosse esattamente come previsto, tanto da definirlo un ‘magnetar anomalo’. Le prime indagini infatti indicavano che possedesse sì un campo magnetico molto elevato, ma assolutamente comparabile con la stragrande maggioranza delle stelle di neutroni ‘normali’.
Oggi, grazie a uno studio coordinato che ha sfruttato i dati raccolti dai principali satelliti che osservano l’universo nelle alte energie, arriva la conferma di questa anomalia e del valore del campo magnetico di cui SGR 0418 è dotato. Le accurate misure raccolte in un arco di 3 anni, frutto di un perfetto lavoro di squadra dei principali osservatori orbitanti per l’astrofisica delle alte energie come Chandra, Swift e RXTE della NASA e XMM-Newton dell’ESA, hanno permesso di stimare che SGR 0418 ha un campo magnetico comparabile con quello tipico delle stelle di neutroni.
“Il suo campo magnetico così debole rende SGR 0418 un oggetto ancora più esotico tra quelli già esotici che sono i magnetar” commenta Gianluca Israel, dell’Osservatorio Astronomico di Roma dell’INAF, che ha partecipato insieme con altri colleghi italiani allo studio in corso di pubblicazione sulla rivista The Astrophysical Journal, guidato da Nanda Rea, anch’ella italiana e ora all’Istituto di Scienze Spaziali di Barcellona, in Spagna. “Se andiamo a contare tutte quelle pulsar radio che già conosciamo, potremmo aspettarci che qualcuna di esse possa manifestarsi all’improvviso come un magnetar e rilasciare con un violento lampo una gran quantità di energia sotto forma di raggi X”. Il caso di SGR 0418 sembra dunque essere l’eccezione che conferma la regola, per cui non ci sarebbe necessariamente bisogno di un intenso campo magnetico esterno alla pulsar per permetterle di produrre radiazione di altissima energia. Una possibilità è che l’energia magnetica necessaria per scatenare i comportamenti osservati sia principalmente concentrata all’interno della pulsar e quindi non rilevabile con le tecniche attuali.
Ma se così fosse allora nel cosmo potrebbero annidarsi moltissimi potenziali magnetar, sospettano gli scienziati. Quanti? Dalle 5 alle 10 volte più delle stime attualmente accettate. Un numero che, esteso alla popolazione stellare dell’universo, sarebbe in grado di produrre in media per ogni galassia un evento di emissione nei raggi x all’anno.
Se questo scenario verrà confermato da altre osservazioni, le sue implicazioni astrofisiche andrebbero ben oltre la fenomenologia delle stelle di neutroni classiche. Ad esempio, una frazione significativa del lampi di raggi gamma potrebbe essere prodotta da pulsar fino a quel momento quiescenti e trasformatesi improvvisamente in magnetar.
“Nell’attesa di scoprire lampi di raggi X o gamma prodotti da nuovi magnetar, il nostro obiettivo è quello di andare a studiare più nel dettaglio un campione di queste pulsar ‘normali’ già note, per capire quale è l’incidenza dei magnetar ‘dormienti’ sulla popolazione totale” sottolinea Israel.
Nel team che ha partecipato allo studio in pubblicazione su The Astrophisical Journal fanno parte, oltre a Gianluca Israel, i ricercatori INAF Paolo Esposito, David Salvetti, Andrea Possenti, Marta Burgay, Roberto Mignani, Luigi Stella insieme ad Andrea Tiengo, ricercatore dell’Istituto Universitario di Studi Superiori di Pavia e Roberto Turolla, dell’Università di Padova, entrambi associati INAF.
Per saperne di più:
- l’articolo The outburst decay of the low magnetic field magnetar SGR 0418+5729 di Nanda Rea et al. in corso di pubblicazione sulla rivista The Astrophysical Journal