Da un grande telescopio derivano grandi problematicità. E una fra le più serie è dovuta all’atmosfera: all’aumentare del diametro dello specchio primario, insieme al potere risolutivo teorico aumenta anche la sensibilità alle turbolenze atmosferiche. Risultato: le immagini giungono alterate, un po’ come se la volta celeste fosse stampata sul fondo d’una piscina, con le increspature dell’acqua che la deformano in continuazione agli occhi degli osservatori. Possiamo perciò ben immaginare quali difficoltà si trovino ad affrontare i progettisti dei futuri telescopi, quelli con diametri nell’ordine delle decine di metri.
Come fare? Una soluzione drastica – l’equivalente di svuotare la piscina – è quella di piazzare i telescopi oltre l’atmosfera, e le immagini straordinarie scattate dallo Hubble Space Telescope sono lì a testimoniarlo. Ma spedire un telescopio di grandi dimensioni in orbita ha costi proibitivi, e oltre un certo diametro è tecnicamente impossibile, perlomeno con i vettori attuali.
Un’alternativa è quella d’affidarsi a ottiche “intelligenti”: vale a dire, in grado di correggere in modo autonomo le aberrazioni introdotte dall’atmosfera. Ottiche di questo tipo già esistono: si chiamano “adattive”, proprio per la loro capacità di adattarsi – cambiando in continuazione la propria forma, la propria curvatura, anche migliaia di volte al secondo – alle imprevedibili variazioni dell’atmosfera. Già oggi un telescopio terrestre dotato di ottiche adattive può raggiungere, e persino superare, la risoluzione degli attuali telescopi spaziali.
Ed è proprio a questi incredibili specchi danzanti, e al ruolo che rivestiranno nei telescopi di prossima generazione, che è dedicato il congresso internazionale “Adaptive Optics for Extremely Large Telescopes”, in programma a Firenze, dal 26 al 31 maggio prossimi.
Come mai proprio a Firenze? Media INAF lo ha chiesto al chair del comitato scientifico, Simone Esposito, dell’INAF – Osservatorio Astrofisico di Arcetri.
«Anzitutto occorre dire che questa conferenza è già alla sua terza edizione, e in precedenza si è tenuta in due paesi che hanno una leadership internazionale per l’ottica adattiva. Stiamo parlando della Francia (a Parigi) e del Canada (a Victoria). L’edizione di quest’anno si svolgerà a Firenze proprio per il grande riconoscimento internazionale verso gli sviluppi svolti in Italia nel campo delle ottiche adattive. In particolare, i risultati ottenuti fra il 2010 e il 2012 con il sistema adattivo FLAO del telescopio LBT, sviluppato principalmente a Firenze presso l’Osservatorio di Arcetri, hanno orientato la comunita internazionale a chiedere all’INAF di Arcetri d’organizzare questa terza edizione».
C’è qualche grande telescopio, oltre a LBT, che già implementa ottiche adattive ideate o realizzate con un decisivo contributo italiano?
«Sicuramente sì. Vi sono oramai molti grandi telescopi che utilizzano sistemi adattivi i cui componenti chiave, ovvero specchio deformabile e sensore di fronte d’onda, sono frutto degli sviluppi tecnologici fatti in INAF negli ultimi 15 anni. Stiamo parlando rispettivamente di specchi secondari adattivi e sensori a piramide. La prima luce astronomica di questi due componenti è avvenuta a MMT e TNG attorno al 2000. I successivi sviluppi hanno portato alla prima luce del sistema adattivo di LBT FLAO. La qualità dei risultati di questo sistema ha convinto la comunita astronomica che questi componenti rappresentano un fondamentale passo in avanti nel campo dell’alta risoluzione angolare. Altri telescopi della classe 8 metri hanno attualmente in sviluppo sistemi adattivi equivalenti: stiamo parlando di telescopi come VLT, con la Adaptive Optics Facility, e il telescopio Magellan, con il suo sistema adattivo per la banda visibile».
E fra quelli del futuro?
«La risposta è positiva anche in questo caso, a cominciare dal piu grande telescopio astronomico attualmente in realizzazione. Parliamo dello European Extremely Large Telescope, E-ELT, di 39 metri di diametro. L’Italia è coinvolta a vario titolo in importanti progetti adattivi per questo telescopio come, ad esempio, il sistema multiconiugato MAORY. Lo specchio adattivo principale di E-ELT (lo specchi quaternario) è un secondario adattivo ancora più avanzato che deriva direttamente dall’esperienza di LBT. Lo stesso vale per il Giant Magellan Telescope, da 25m di diametro (GMT), il cui secondario è ancora una volta un secondario adattivo. Inoltre, il sistema adattivo a stella naturale di GMT è derivato direttamente dal sistema FLAO di LBT, ed è sviluppato da INAF. Attualmente altri telescopi sono interessati a dotarsi di secondari e sistemi adattivi tipo LBT, fra i quali il Gemini North e il Subaru, entrambi da 8 metri di diametro».
Ma in cosa consiste, concretamente, la leadership italiana nel settore delle ottiche adattive?
«Vi è in Italia una scuola, diciamo, di ottica adattiva che ha ormai una lunga tradizione, parliamo di 15-20 anni. È una scuola riconosciuta internazionalmente, e ha portato all’introduzione di nuovi concetti in ottica adattiva. Contemporaneamente, INAF ha progettato e realizzato componenti di grande successo, come i secondari adattivi e il sensore a piramide».
Questo sul versante della ricerca. E dal punto di vista della ricaduta industriale?
«Vi sono varie ditte italiane, legate al disegno e alla realizzazione dei sistemi di cui abbiamo parlato, che si sono imposte sul mercato internazionale. Il caso più eclatante è quello di MicroGate e ADS Intenational. Queste due ditte hanno affiancato INAF nello sviluppo e ingegnerizzazione dei primi secondari adattivi di MMT e LBT. Adesso sono i fornitori, come prime contractor, di tutti i telescopi che hanno deciso di dotarsi di secondari adattivi, come Magellan e VLT per i telescopi di classe 8m ed E-ELT e GMT per gli Extremely Large Telescopes».
Di che cifre parliamo?
«Beh, come indicazione, il secondario adattivo di VLT ha un costo attorno ai 5 milioni di euro, mentre il contratto per il secondario adattivo di GMT è stimato in circa 37 milioni di euro».