A quanto ammonta la bolletta della luce dell’intero universo dal Big Bang a oggi? Domanda nient’affatto peregrina: una stima accurata del numero e dell’energia di tutti i fotoni in circolazione per il cosmo, dalle origini ai giorni nostri, permetterebbe di rispondere a numerosi quesiti circa la natura e l’evoluzione dell’universo. Si tratta d’un bagno di fotoni che va sotto il nome di radiazione extragalattica di fondo (EBL, extragalactic background light). Peccato che non esista un contatore sul quale andare a leggere di che cifre stiamo parlando, anzi: trovandoci immersi nell’emissione luminosa della galassia che ci ospita – per non dire della luce solare – una misura diretta dell’EBL è un’impresa praticamente impossibile.
Si può però tentare una lettura indiretta. È quanto è riuscito a fare un team di sette astrofisici, guidato da Alberto Domínguez della University of California – Riverside, ricorrendo a un metodo quanto mai ingegnoso e a una squadra di telescopi che solo a elencarli lascia senza respiro: da Fermi a XMM-Newton, passando per Chandra, Swift e il Rossi X-ray Timing Explorer, per citare solo quelli spaziali. Giungendo così a pubblicare, in un articolo appena uscito su The Astrophysical Journal, la misura a oggi più attendibile del totale dell’EBL emessa nel corso degli ultimi cinque miliardi di anni.
Come hanno fatto? Hanno sfruttato una proprietà controintuitiva della luce di fondo, ovvero il suo “potere oscurante”. O meglio, l’attenuazione esercitata dai fotoni EBL sui fotoni ad altissima energia provenienti dai blazar. Quando un raggio gamma, dunque un fotone ad alta energia, entra in collisione con uno dei fotoni a energia più bassa del fondo extragalattico, i due si annichiliscono, dando origine a una coppia formata da un elettrone e un positrone. Non solo: fotoni gamma di diverso livello energetico vengono intercettati, per così dire, da fotoni EBL a loro volta con livelli energetici differenti. Aprendo così le porte alla possibilità di calcolare un vero e proprio spettro d’attenuazione in funzione della distanza – e dunque dell’antichità – dei blazar all’origine dell’emissione gamma.
Incrociando i dati multibanda, dai raggi gamma ai raggi X, raccolti dai satelliti prima elencati, gli autori dello studio hanno anzitutto ricostruito quella che doveva essere l’emissione originale – non attenuata, dunque – a differenti energie. Poi l’hanno confrontata con le misure dirette del flusso gamma, proveniente da quegli stessi blazar, rilevato a terra da tre telescopi in grado di rilevare l’efffetto Čerenkov: HESS (High Energy Stereoscopic System) in Namibia, MAGIC (Major Atmospheric Gamma Imaging Čerenkov) alle Canarie e VERITAS (Very Energetic Radiation Imaging Telescope Array Systems) in Arizona. Dalla discrepanza fra i valori ottenuti sono infine riusciti a risalire a una stima dell’attenuazione dovuta alla radiazione di fondo extragalattica e a quantificare l’evoluzione dell’EBL nel corso degli ultimi cinque miliardi di anni. «Cinque miliardi di anni luce è il limite massimo al quale riusciamo a spingerci con le tecnologie attuali», sottolinea Domínguez. «Esistono anche blazar più distanti, certo, ma i raggi gamma ad alta energia che emettono risultano troppo attenuati dall’EBL perché i nostri strumenti riescano rilevarli».
Per saperne di più:
- Leggi l’articolo “Detection of the Cosmic γ-Ray Horizon from Multiwavelength Observations of Blazars“, di A. Domínguez, J. D. Finke, F. Prada, J. R. Primack, F. S. Kitaura, B. Siana D. Paneque