Quando andremo finalmente su Marte? Difficile ancora dirlo. Di sicuro però c’è la lunga durata della missione per portare un equipaggio umano sul Pianeta rosso, rimanere per una breve esplorazione e ritornare. Le stime indicano che il tutto possa svolgersi nell’arco più o meno di un anno. Quasi quattrocento giorni in cui i temerari astronauti si troveranno lontanissimi dalla Terra ma saranno soprattutto orfani dei suoi preziosissimi ‘ombrelli’ naturali, ovvero l’atmosfera e la magnetosfera, che ci proteggono con grande efficienza da invisibili quanto pericolosi nemici. Sono le particelle di alta e altissima energia, prodotte ad esempio dalle esplosioni di supernova o da getti emessi dai buchi neri nella nostra Galassia (i raggi cosmici galattci o GCR, acronimo di Galactic Cosmic Rays), ma anche – guardando nel nostro vicinato – protoni, neutroni, elettroni e nuclei atomici ‘sparati’ dal Sole (i cosiddetti SEP, dall’inglese Solar Energetic Particles) soprattutto durante i periodi di massima attività della nostra stella. Un brodo di proiettili invisibili che scorrazzano nello spazio interplanetario e che possono facilmente penetrare anche gli scafi più robusti delle navette spaziali, creando seri problemi a chi le abita. Sono noti infatti gli effetti dannosi di queste particelle sui tessuti biologici che, cumulandosi, possono innalzare in modo sensibile il rischio di contrarre forme letali di cancro. Per questo, progettando una missione umana su Marte, è molto importante conoscere quanto e di che tipo saranno i pericoli per l’incolumità della salute dei futuri viaggiatori spaziali. Un importante passo avanti in questo senso arriva dalla missione Mars Science Laboratory della NASA, per capirci quella che ha rilasciato il 6 agosto scorso il rover Curiosity sulla superficie di Marte. Tra i vari strumenti a bordo del robot semovente c’è quello che prende il nome di RAD, ovvero Radiation Assessment Detector. Un vero e proprio laboratorio miniaturizzato per monitorare in dettaglio le particelle presenti nell’ambiente dove si trova il rover, registrandone il flusso, il tipo e la loro energia. RAD è stato quasi sempre acceso durante il lungo viaggio di Curiosity dalla Terra a Marte, raccogliendo così informazioni molto accurate sulle radiazioni assorbite dal veicolo.
“Parlando di dosi accumulate in tutto il viaggio, possiamo equiparare le radiazioni che hanno investito RAD a quella di una TAC su tutto il corpo di un essere umano ogni cinque o sei giorni” spiega Cary Zetlin, del South West Research Institute nel Texas, dove è stato realizzato e viene monitorato RAD, nonché primo autore di un articolo sull’analisi dei dati raccolti dallo strumento pubblicato online sulla rivista Science. “Avere un quadro completo delle radiazioni presenti a bordo di un veicolo spaziale in rotta verso Marte è fondamentale nella programmazione di una missione umana verso il Pianeta rosso. Le misure di RAD indicano una dose giornaliera di radiazioni assorbite durante il viaggio pari a circa 1.8 milliSievert. Questo porterebbe a un valore complessivo di circa 0,66 Sievert per un viaggio di andata e ritorno da Marte con le tecniche di propulsione attuali, a cui andrebbe aggiunta la dose accumulata dagli astronauti nel loro periodo di permanenza e attività sulla superficie del pianeta. Il valore totale non dovrà però superare quello di un Sievert, che secondo gli standard di sicurezza di molte Agenzie Spaziali è il limite massimo di radiazioni che un astronauta può assorbire senza rischiare un aumento significativo di problemi biologici”.