No, aspettate a esultare. Non è metano, e non attenuerà in alcun modo i problemi energetici della nostra amata Terra. Ma per chi temeva che la nostra Via Lattea fosse agli sgoccioli è comunque un’ottima notizia: l’idrogeno, perché di questo si tratta, è molto più di quanto stimato in precedenza. Nessun rischio imminente di rimanere a secco, dunque, senza materia prima per dar vita a nuove stelle.
A scovare i nuovi giacimenti di gas, il telescopio a infrarossi Herschel dell’Agenzia Spaziale Europea. Una scoperta che ha qualcosa di struggente, considerando che nemmeno due mesi fa lo stesso Herschel è stato costretto a ritirarsi dalla scena proprio perché aveva esaurito l’ultima goccia di carburante – elio liquido, nel suo caso. Ma la messe di dati che ha raccolto durante i suoi quattro anni d’osservazione del cielo a infrarossi è ricchissima, ed è proprio spulciando fra le righe spettrali collezionate dallo strumento HIFI che un team di ricercatori guidato da Jorge Pineda, del Jet Propulsion Laboratory (JPL) della NASA, è riuscito a localizzare e quantificare questi giacimenti di gas fino a oggi sconosciuti.
E ci voleva proprio Herschel, per scovarli. Le nubi di molecole d’idrogeno che danno vita alle stelle sono infatti troppo fredde per emettere luce, rimanendo così invisibili alla maggior parte dei telescopi. Per riuscire a localizzarle, gli astronomi si affidano a un tracciante, il monossido di carbonio, molto più facile da rilevare e spesso a braccetto con il gas d’idrogeno. Spesso ma non sempre, però. Nelle regioni dove le nubi stanno appena iniziando a formarsi, per esempio, di monossido di carbonio non c’è traccia. E più in generale, non lo si incontra ovunque l’idrogeno non sia abbastanza denso, spiega il responsabile della ricerca del gas con Herschel, William Langer, anch’egli del JPL. «Il monossido di carbonio viene distrutto dalla luce ultravioletta», dice Langer, «e nello spazio fra le stelle, dove il gas è molto rarefatto, non c’è abbastanza polvere a fare da scudo alle molecole, lasciandole in balia dell’azione distruttrice della radiazione ultravioletta».
Fortunatamente il monossido di carbonio (CO) non è l’unico tracciante a disposizione: si può ricorrere, per esempio, al carbonio ionizzato, presente anche nelle regioni d’idrogeno “CO-dark”, ovvero prive di monossido di carbonio. Già noto agli scienziati, è però solo con Herschel che si è per la prima volta riusciti a utilizzare il carbonio ionizzato presente nello spazio per realizzare una mappa dell’abbondanza di gas nella galassia. Un risultato, ora in corso di pubblicazione su Astronomy and Astrophysics, che, oltre a rivedere parecchio al rialzo le stime precedenti, altera pure la geografia di questi giacimenti: non più concentrati nel raggio di 13mila anni luce dal centro galattico, bensì presenti anche a distanze assai superiori, fino ad almeno 36mila anni luce.
Per saperne di più:
- Leggi su Astronomy and Astrophysics l’articolo “A Herschel [CII] Galactic plane survey I: the global distribution of ISM gas components“, di Jorge L. Pineda, William D. Langer, Thangasamy Velusamy e Paul F. Goldsmith