E adesso anche i radioastronomi hanno i loro lampi cosmici da studiare. Segnali brevissimi e isolati nella banda delle onde radio, della durata di appena qualche millisecondo, che appaiono senza preavviso nel cielo. A osservare questi enigmatici impulsi radio provenienti dallo spazio profondo è stato un team internazionale di scienziati, tra cui quattro ricercatori dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Cagliari e dell’Università di Cagliari sfruttando il radiotelescopio australiano di Parkes del Commonwealth Scientific and Industrial Research Organization (CSIRO). Anche se gli autori della ricerca, guidata da Dan Thornton dell’Università di Manchester nel Regno Unito, avanzano l’ipotesi che tra i responsabili di queste emissioni impulsive potrebbero esserci oggetti celesti estremi, come stelle di neutroni o buchi neri, la natura ultima delle sorgenti che hanno prodotto questi lampi-radio è ancora al momento sostanzialmente sconosciuta. Sembra questa una storia già rivista, quando negli anni ’70 del secolo scorso, gli astrofisici si imbatterono in misteriosi segnali nei raggi gamma (denominati poi Gamma-Ray Burst, o GRB) che di fatto aprirono un nuovo capitolo nell’avvincente storia dello studio dell’universo.
Tante sono le domande che si affollano nei ricercatori guardando a questi segnali, ma nello studio, pubblicato nell’ultimo numero della rivista Science, c’è già qualche fondamentale certezza. I lampi radio arrivano a Terra scaglionati in tempi diversi, in ragione della lunghezza d’onda di osservazione su cui si sintonizza il radiotelescopio. Questo fenomeno è noto come dispersione ed è dovuto agli effetti del gas elettricamente carico che le onde radio attraversano nel loro tragitto. Più lungo è il cammino percorso, più grande è lo sparpagliamento con cui percepiamo gli impulsi. “Dalla misura dello sparpagliamento – spiega Marta Burgay, una delle ricercatrici INAF coinvolte nella scoperta – è stato possibile risalire alle distanze da cui sono giunti i quattro impulsi osservati, che arrivano fino a 8 miliardi di anni luce. Dunque i lampi-radio sono stati emessi quando l’Universo aveva un’età che era circa la metà di quella attuale”. Una proprietà che permetterà di utilizzare questi segnali come sonde naturali per indagare direttamente cosa c’è lungo lo sterminato percorso che i lampi-radio effettuano prima di arrivare fino a noi: certamente materia ordinaria, ovvero gas e polveri, ma forse anche tracce della presenza di materia oscura.
Ad aggiungere ulteriore interesse sull’individuazione dell’origine di questi remoti lampi-radio c’è il loro numero, che deve essere elevatissimo. Infatti per osservare uno di questi eventi bisogna puntare il radiotelescopio nella direzione giusta proprio nel brevissimo intervallo di tempo in cui il lampo-radio sta arrivando. “Dal fatto che abbiamo registrato 4 eventi stimiamo che devono verificarsi circa 10.000 lampi-radio al giorno in tutto il cielo, come dire un lampo-radio ogni 10 secondi” sottolinea Andrea Possenti, direttore dell’Osservatorio Astronomico INAF di Cagliari, che ha partecipato alla ricerca. “Questa frequenza è oltre 1.000 volte più grande di quella tipica degli studiatissimi lampi di raggi gamma”.
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Fin da prima dell’annuncio ufficiale della rivista Science, la comunità scientifica internazionale aveva cominciato a mostrare un grandissimo interesse per questa nuova classe di fenomeni cosmici ed è probabile che nei prossimi mesi saranno pubblicati moltissimi lavori teorici con l’obiettivo di selezionare una serie di “sospettati” per il ruolo di sorgenti di lampi-radio. L’individuazione fra essi del vero “colpevole” richiederà però dell’ulteriore intenso lavoro osservativo, come indica un altro dei membri italiani del team che ha condotto le osservazioni, Nicolò D’Amico, docente presso l’Università di Cagliari e associato INAF, direttore del progetto del Sardinia Radio Telescope (SRT): “Per discriminare il vero responsabile sarà necessario in primis aumentare di molto il numero di eventi osservati. In secondo luogo identificare questi lampi-radio quasi in tempo reale, così da permettere l’individuazione di possibili emissioni transitorie in altre bande dello spettro elettromagnetico. In entrambi i casi il Sardinia Radio Telescope reciterà un ruolo di primo piano internazionale”.
Per saperne di più:
Il comunicato stampa INAF
Il comunicato stampa del Max-Planck Institute for Radio Astronomy (in inglese)
Il comunicato stampa dell’Università di Manchester (in inglese)
Il comunicato stampa della Swinburne University (in inglese)