Un proiettile d’acciaio da 20 chili sparato alla velocità del suono in un blocco di ghiaccio da 10 tonnellate. Lo spettacolare tiro a segno (di cui la BBC riporta alcuni video) , effettuato da un gruppo di ingegneri spaziali dell’University College di Londra e di Astrium UK, serviva a dimostrare l’efficienza di un sistema che potrebbe un giorno servire a portare strumenti scientifici su pianeti lontani, o meglio a farli arrivare sotto la superficie.
In particolare, il blocco di ghiaccio in cui è stato sparato il proiettile voleva riprodurre la superficie del satellite di Giove, Europa, obiettivo di importanti missioni scientifiche (come Juno, dell’Agenzia Spaziale Europea) e ritenuto uno dei posti migliori nel Sistema solare dove cercare tracce di vita. Secondo gli ingegneri che stanno lavorando all’idea, un “penetrator” (appunto, un proiettile sparato da una sonda in orbita attorno al pianeta) potrebbe rivelarsi un sistema più vantaggioso per portare strumenti scientifici sulla superficie rispetto ai “soft lander” usati normalmente, che fanno invece un atterraggio morbido usando paracaduti.
Certo è fondamentale che gli strumenti sopravvivano all’impatto, e il test in UK serviva a verificare proprio questo. É andato bene. Nonostante una decelerazione di 24mila G al momento dell’impatto, il proiettile (che ha trapassato il ghiaccio e finito la sua corsa contro il muro di cemento retrostante) ha riportato solo qualche graffio alla superficie esterna. Secondo Sanjay Vijendran, project manager dell’Agenzia Spaziale Europea che ora vuole provare a portare avanti il progetto, questo tipo di hard lander avrebbero diversi vantaggi rispetto a quelli soft, in particolare la possibilità di penetrare alcuni metri sotto la superficie del pianeta senza usare un drill, e portare là sotto minilaboratori di analisi chimica o sismometri.
Oltre che all’impatto, naturalmente, un sistema di questo tipo dovrebbe anche resistere alle temperature bassissime che si trovano su mondi gelidi come Europa. Per questo il team inglese sta anche lavorando a batterie e sistemi di comunicazione radio miniaturizzati in modo da essere alloggiati in un proiettile così piccolo, ma comunque in grado di lavorare per settimane a temperature pericolosamente vicine allo zero assoluto. La speranza è di risolvere tutti i problemi e avere un sistema funzionante prima della fine del decennio.