Quando spingiamo lo sguardo fino alle origini dell’universo, incontriamo una barriera invalicabile, un confine temporale oltre il quale l’osservatore deve arrendersi. La cinta muraria che protegge i segreti del Big Bang si trova a 380mila anni dall’istante zero, e corrisponde all’epoca della ricombinazione: quando dal brodo d’elettroni e protoni sono comparsi i primi atomi d’idrogeno, rendendo l’universo trasparente alla radiazione elettromagnetica e dunque visibile.
Ma le barriere invalicabili, si sa, sono fatte per essere scavalcate. E infatti i cosmologi si stanno ingegnando in tutti i modi per sbirciare al di là della parete. Come? Per esempio, cercando di reclutare messaggeri come i neutrini o le onde gravitazionali, che a differenza delle onde elettromagnetiche non si fermano innanzi al muro opaco della ricombinazione. Oppure, spremendo i testimoni all’inverosimile, come avviene quando si cerca d’individuare, nelle mappe della radiazione di fondo a microonde (CMB), l’impronta della polarizzazione, oppure caratteristiche anomale: l’equivalente d’una seduta d’ipnosi, tesa a far riaffiorare lembi di ricordi d’un passato altrimenti inaccessibile.
Quest’ultima è la strada seguita in una ricerca fresca di pubblicazione su Physical Review Letters. E quello che hanno intravisto al di là del muro, nell’epoca che va dai 100 ai 300mila anni dopo il Big Bang, è qualcosa di ancora sconosciuto. «Grazie ai dati di Planck e di WMAP stiamo davvero spingendo il confine più in là, sempre più indietro nella storia dell’universo, accedendo a territori della fisica delle alte energie che prima ci erano preclusi», spiega uno dei tre autori dell’articolo, il fisico teorico Eric Linder del Lawrence Berkeley National Laboratory (il centro di ricerca sulla collina di Berkeley dove venne progettato il satellite COBE). «E se la nostra analisi mostra che ai fotoni della CMB è seguita, come previsto, principalmente la materia oscura, emerge anche un’anomalia che sembra suggerire l’esistenza di particelle relativistiche al di là della CMB».
E chi ci sarebbe dietro a queste particellle? La lista dei sospetti, dice Linder, per ora si ferma a due voci. Potrebbe essere una sorta di energia oscura “primordiale”, ancor più misteriosa della già inafferrabile dark energy. Oppure, potrebbe trattarsi di – allacciate le cinture – “neutrini selvaggi” (wild): una versione primitiva dei neutrini che vediamo oggi.
Per tornare con i piedi per terra, abbiamo chiesto un commento a Carlo Burigana, ricercatore dell’INAF-IASF di Bologna da anni impegnato nell’analisi dei dati di Planck. «Il lavoro di Hojjati, Linder e Samsing è di notevole interesse, perché deriva i vincoli all’espansione dell’universo molto indietro nel tempo, fino ad appena cento anni dopo il Big Bang, in modo sostanzialmente indipendente dal modello assunto a priori. È interessante come il risultato sia consistente con i dati attuali, incluse le recenti osservazioni estremamente accurate del satellite Planck. Tuttavia, la loro analisi mostra come un contributo addizionale di energia rispetto al modello standard, rilevante in particolare in un intervallo compreso fra i 30mila e i 380mila anni dopo il Big Bang, migliori il confronto con i dati osservativi. L’origine potrebbe essere una forma di energia oscura “primordiale” o un maggiore contributo da particelle relativistiche, quali per esempio altre specie di neutrini, oltre alle tre usuali, o processi fisici che ne “accrescano” il numero effettivo».
Mitigare le incertezze dei condizionali spetta ora ai prossimi studi sulla polarizzazione. «È proprio da analisi degli straordinari dati degli esperimenti di CMB, ad esempio Planck», nota infatti Reno Mandolesi, responsabile dello strumento LFI del satellite ESA, «che ci aspettiamo nuove idee e nuove interpretazioni al modello standard della cosmologia. E il futuro dei dati di Planck, con la polarizzazione della CMB che rilasceremo nel 2014, ci riserverà certamente nuove sorprese».
Per saperne di più:
- Leggi su Physical Review Letters l’articolo “New Constraints on the Early Expansion History of the Universe“, di Alireza Hojjati, Eric V. Linder e Johan Samsing