‘Cucciolo’. Così Enrico Fermi e i suoi colleghi del Regio Dipartimento di Fisica dell’università di Roma chiamavano affettuosamente Bruno Pontecorvo. E mai soprannome poteva essere più adatto a lui, entrato giovanissimo (poco più che ventenne) nell’eccezionale gruppo dei ‘ragazzi di via Panisperna’, i fisici che a cavallo della seconda guerra mondiale rivoluzionarono con le loro intuizioni e scoperte le nostre conoscenze sull’atomo. Un talento tanto precoce quanto poco conosciuto ai più quello di Pontecorvo, nonostante il valore riconosciuto a livello internazionale dei suoi pionieristici studi sulla fisica delle alte energie. Studi portati avanti nella sua lunga e prolifica carriera, segnata dalla fuga dall’Italia a seguito dell’entrata in vigore delle leggi razziali, che lo portò a spostarsi in vari Paesi europei e americani, fino a stabilirsi definitivamente, in piena Guerra Fredda, nell’Unione Sovietica, dove proseguì i suoi studi.
Per ricordare il fondamentale contributo scientifico di Bruno Pontecorvo, a cento anni dalla nascita, L’istituto Nazionale di Fisica Nucleare e il Dipartimento di Fisica dell’Università di Roma ‘La Sapienza’ hanno organizzato un incontro interazionale di due giorni dal titolo The Legacy of Bruno Pontecorvo: the Man and the Scientist che si è aperto oggi presso l’aula magna dell’Università capitolina, alla presenza del capo dello stato, Giorgio Napolitano. Nelle loro prolusioni, i fisici Carlo Bernardini, Fernando Ferroni, Sergio Bertolucci, hanno ricordato alcune delle pionieristiche idee di Bruno Pontecorvo, tra cui i suoi studi sul decadimento del muone e la sua teoria delle oscillazioni del neutrino.
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“Nel 1959 Pontecorvo teorizzò l’esperimento per il quale io ho ottenuto il Premio Nobel” ha ricordato ai nostri microfoni Jack Steinberger, il fisico che insieme a Max Lederman e Melvin Schwartz ha ricevuto l’ambìto riconoscimento nel 1988 e che abbiamo incontrato durante una pausa dell’incontro. “L’idea era quella di usare fasci di neutrini per studiare se il decadimento dei muoni e il decadimento beta coinvolgessero lo stesso neutrino. Esperimento che ha poi mostrato che dovevano essere coinvolti differenti tipi di neutrini. E così, devo a Pontecorvo il mio premio Nobel”.