E’ una delle tante stranezze di Mercurio, il pianeta più interno (e per certi versi più bizzarro) del sistema solare. Parliamo della sua “risonanza” caratteristica, ovvero il rapporto tra il periodo che orbitare attorno al Sole e quello necessario a ruotare su se stesso. Il rapporto è di 3:2, visto che a Mercurio ci vogliono 88 giorni per fare un giro del Sole e 58 a completare un giro su se stesso rispetto alle stelle più lontane. Per gli altri corpi del Sistema solare, quel rapporto è in genere decisamente più grande (seppur con la notevole eccezione di Venere, che ruota su se stesso più lentamente che attorno al Sole). Per la Terra, come ben sappiamo, è di 365:1, e anche i pianeti più esterni hanno periodi di rotazione che sono solo una piccola frazione dei periodi di rivoluzione.
Al contrario molti satelliti naturali che ruotano a breve distanza attorno a corpi più grandi, come la Luna rispetto alla Terra, finiscono per arrivare a una risonanza 1:1, mostrando sempre la stessa faccia al pianeta “madre”. Si pensa che Mercurio, all’inizio della sua storia, avesse una velocità di rotazione molto maggiore, e che sia scesa nel corso di qualche decina di milioni di anni. Ma perché a un certo punto quella velocità ha smesso di rallentare, e si è fermata a un rapporto di 3:2 anziché arrivare a quello molto più comune di 1:1? La domanda è senza risposta più o meno dagli anni Sessanta. Ora uno studio di Benoit Noyelles dell’Università di Namur, in Belgio, appena presentato al meeting della Division for Planetary Sciences dell’American Astronomical Society in corso a Denver, prova a dare una risposta.
Utilizzando un modello al computer sviluppato dallo US Naval Observatory, i ricercatori sono riusciti a simulare l’azione delle forze di marea causate dal Sole sul pianeta, e il modo in cui nel corso di milioni di anni possono avere influenzato la velocità di rotazione. Scoprendo che la combinazione tra l’orbita fortemente eccentrica di Mercurio e quello che sappiamo sulla struttura del nucleo del pianeta inneschi una dinamica che porta dritto dritto al rapporto di risonanza 3:2. La gravità solare esercita infatti sul pianeta una forza di marea che tende a decelerarne la rotazione: inoltre le maree deformano il pianeta, provocando periodici sollevamenti (di piccola ampiezza, ma che coinvolgono comunque grandi masse) della superficie solida. La frizione interna causata da questi movimenti dissipa una parte dell’energia rotazionale e contribuisce a rallentare il pianeta, e il rigonfiamento aggiunge un ulteriore effetto di marea che va messo nel conto. Quello che Noyelles e i colleghi hanno dimostrato è che, data l’eccentricità dell’orbita di Mercurio e assumendo che il pianeta fosse relativamente freddo (cioè non completamente fuso) all’inizio della sua storia, il finale più probabile per la risonanza tra rivoluzione e rotazione è proprio quello di 3:2.
Non solo: visto che molti pianeti extrasolari hanno orbite eccentriche simili a quelle di Mercurio, e orbitano molto vicini alle loro stelle, quel rapporto di 3:2 che nel nostro sistema solare è un unicum dovrebbe rivelarsi, secondo gli autori dello studo, molto comune in altri sistemi. E potrebbe trovarsi anche in super-Terre in orbita attorno a stelle nane di tipo M, esopianeti che sulla carta sono considerati abitabili.